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“Abbiamo bisogno di leggerezza”. L’uomo di Fumo di Mallardo


“Abbiamo bisogno di leggerezza”. L’uomo di Fumo di Mallardo

ispirato a Il Codice di Perelà di Aldo Palazzeschi

recensione di MICHELE INFANTE

drammaturgia e regia di Aniello Mallardo

con Raffaele Ausiello, Antonio Piccolo, Giuseppe Cerrone, Marco Di Prima, Melissa Di Genova

Aiuto Regia: Giuseppe Cerrone

Musiche originali: Mario Autore

Scene: Sissi Farina, Antonio Genovese

Realizzazione scenica: Da Vinci Lab

Costumi: Anna Verde

Disegno luci: Aniello Mallardo, Sissi Farina

Progetto grafico: Riccardo Teo

Produzione Teatro In Fabula

Perelà è la mia favola aerea,

il punto più alto della mia fantasia.

A. PALAZZESCHI

Non era facile, forse impossibile, mettere in scena un’opera come Perelà. Ci prova Aniello Mallardo, coraggio benemerito. La sua è una lettura tutta socio-politica del Perela’ di Pallazzeschi. Ne la Chiesa (il Vescono), ne il Marxismo (il filosofo) sono più quello che sono, rimane il capitalismo finanziario (il Re), ma non è identificabile con il potere politico. Così la favola che era area, diventa nella versione di Aniello Mallardo, una satira politica. A cui va aggiunto il femminismo, il tema della parità della donna e della lotta al patriarcato, ed ecco allora in scena il quarto personaggio, l’unica figura femminile scelta dal romanzo, la Marchesa di Bellonda (Melissa Di Genova); con una fantascientifica mise futuristica, e il suo essere famme fatale. La marchesa che vede in Perelà una sorta di innovatore, o super-uomo, proprio per la sua inconsistenza, non resiste a chi la resiste. L’epilogo romantico è scontato ed assente nel testo di Pallazzeschi, la marchesa si brucia, si dà fuoco, per diventare fumo, vorrebbe essere leggera come l’uomo di fumo. Pe.re.la, figlioccio funambolico di tre personaggi ammantati di rosso, che aprono la rappresentazione Pena, Rete e Lama, misteriose Madri mitologiche ed antiche, viene mandato sulla terrà a punire o redimere gli uomini, che forse è la stessa cosa. Le Madri preannunziano un prologo, elemento rituale delle fiabe tradizionali, quest’uomo di fumo la cui ombra quasi informe si proietta su due teli congiunti sul fondo, e sui quali tre maschere rosse troneggiano sulla scena essenziale.

La peculiarità che più salta all’occhio dopo aver visto “L’uomo di fumo” al Teatro Bellini con la regia e drammaturgia di Aniello Mallardo, è la coerenza della struttura formale, non era facile per nulla con un’opera di avanguardia e sperimentale linguisticamente come “Il codice di Perelà” di Aldo Palazzeschi; che non ne ha una sua propria, così però è anche inevitabilmente che si deve perdere qualcosa nella riduzione teatrale. Lo spettacolo dal punto di vista di regia e drammaturgia e recitazione è di ottimo livello, cerca di comporre una sequenza di scene che rimescola cronologicamente elementi afferenti al testo originale, l’intreccio riesce credibile. Molti sentiranno la differenza tra la versione teatrale dove il regista è stato costretto a tale struttura formale, ed il libro Palazzeschi che invece lascia che il vociare dei vari personaggi che fanno conoscenza dell’Uomo di fumo determinino il prosieguo degli eventi, senza dare alla fabula un vero e proprio intreccio. Molti si chiederanno, ma non era una favola? Qui tutto è risolto!

C’è sola una cosa che si “porta a casa” dalla visione del testo ed è quell’unica parola detta in scena dall’uomo di fumo: leggerezza. In una società di arrabbiati, esasperati, depressi, psicotici e quello che tutti siamo Pallazzeschi e Aniello ci ricordano di essere forse un po’ più leggeri. Non a caso, è il pazzo l’unico personaggio positivo della rappresentazione, o l’unico che ci sembra in grado di interagire credibilmente con l’uomo di fumo, il resto, i poteri forti e l’amore sono macchiette. Ma l’uomo di fumo ed il suo fallimento ci ricordano una leggerezza possibile solo nelle favole.

MICHELE INFANTE

PUBBLICHIAMO PER I NOSTRI LETTOI QUI SOTTO A SEGUIRE LE INTERESSANTI NOTE DI REGIA DI ANIELLO MALLARDO

No, se noi convalescenti abbiamo ancora bisogno di un’arte, questa è un’altra arte, un’arte beffarda, leggera, fuggitiva, divinamente imperturbata, che avvampa come fiamma chiara in un cielo sgombro di nubi

F. NIETZSCHE

Siamo di fronte ad una favola allegorica e ad una sorta di antiromanzo in cui è del tutto assente il principio di verosimiglianza e di causalità e l’azione, come ha scritto Romano Luperini, è sostituita quasi sempre da un coro di voci che commentano, per lo più futilmente, gli avvenimenti, dandone così implicita notizia. Questa “favola aerea”, dunque, per la sua stessa forma, per il suo stesso stile e per la sua materia, pare reclamare una messinscena al confine tra favola e grottesco. L’eroe del romanzo, Perelà, è il portatore di un nuovo ideale di leggerezza, di gentilezza e di candore che mette a nudo la vacuità di una società che prima lo innalza a mito e poi lo abbatte. La sua meravigliosa e infantile leggerezza cos’è se non l’allegoria della presa di coscienza che di fronte alla casualità, al nonsense, al dolore del mondo e alla stupidità umana, l’unica risposta è nella Bellezza, nell’Arte e nel rifuggire da assolutismi? Il lavoro di messinscena intende dunque, preservando l’essenza surreale e grottesca dell’opera, mostrare, attraverso la parabola dell’uomo di fumo, i meccanismi sociali, sviluppando in tal modo, satiricamente e con leggerezza, una critica all’ordine vigente.

Aniello Mallardo