UA-51082228-1

La Repubblica delle Lettere: quando si provò ad immaginare un Europa intellettuale-culturale prima di quella attuale politico-economica. La Repubblica delle Lettere di Marc Fumaroli


di Michele Infante

Il passato non passa. Tutto si rinnova, anche le comunità culturali, come quella d’elitè ma non elitaria che segno un’epoca, quando l’Europa non c’era ancora come “fatto” economico-monetario, ma era qualcosa di vivo e coinvolgente sul piano dei valori e accomunava i letterati di tanti stati e staterelli, corti diverse, e signorie varie. Ne ripercorre le vicende, Marc Fumaroli in La Repubblica delle Lettere, nella traduzione di traduzione di Laura Frausin Guarino uscito per Adelphi. Invertendo il rapporto tra struttura e sovrastruttura, come è stato per il nostro risorgimento, i letterati e gli intellettuali non conoscevano confini, ma si sentivano comunità in un Europa spezzatino. Con il senno di poi possiamo dire era una piccola comunità politica-culturale in assenza di una politica-economica.

Marc Fumaroli riflette e documenta il significato della Repubblica delle Lettere nella storia e nello spirito dell’Europa, in un libro che cita gli epistolari, i testi, il clima culturale degli anni della “repubblica letteraria” (La Repubblica delle Lettere, Adelphi, pagg. 464, euro 32).

Non solo nella sua fondazione, ma in tutto il testo c’è tanta, tantissima Italia in questo testo di Marc Fumaroli. Italiani i padri fondatori della Repubblica: Petrarca, Boccaccio, Salutati, a cui succede Marsilio Ficino, il grande neoplatonico fiorentino, ricordato da Fumaroli come autore anche di un libro di medicina umanistica e astrologica, e poi Bembo, Castiglione, Pontano, Bracciolini, Valla, Poliziano, e soprattutto il libraio e stampatore Manuzio. L’espressione «repubblica delle lettere» è attestata per la prima volta in una missiva che l’umanista veneziano Francesco Barbaro (1390-1459) inviò il 6 luglio del 1417 all’altro e più noto umanista Poggio Bracciolini (1380-1454) (veramente Barbaro scriveva «Respublica litteraria», in latino, ma il significato dell’espressione non cambia in modo rilevante nelle diverse lingue: «Republic of Letters», «République des Lettres» e così via). Bracciolini aveva partecipato come segretario apostolico al concilio di Costanza (1414-1418) e aveva approfittato dell’occasione per compiere importanti ricerche filologiche. Barbaro, scrivendogli, si congratulava e lo ringraziava per ciò che aveva portato alla repubblica delle lettere.

Marc Fumaroli, studioso e professore del Collège de France, cerca anche i cittadini francesi della Repubblica delle Lettere, ma non possiamo dirli i provinciali della Repubblica, proprio perché avendo una propria biblioteca a casa propria, ovunque essi abitassero erano in connessione con gli altri letterati anche delle grandi capitali culturali della Repubblica delle Lettere. Perchè non importa dove si ci trova, prima di Internet, il data-base che era la biblioteca di casa era luogo di cittadinanza culturale anche se si era in Provenza. E tramite lettere colte, complesse, erudite si partecipata a tale universo di ricerca, scambio e riappropriazione di valori. Prima della nostra epoca attuale di messaggini anonimi su Wapp e di e-mail insignificanti, gli umanisti sono uniti in una rete sociale, sono soggetti attivi ed elitisti, polemici e critici, di un livello culturale altissimo, e la cui cooptazione avviene per merito, esattamente l’opposto di internet e delle Università di oggi, dove tutti possono accedere con eguale diritto di parola anche e soprattutto su ciò che non sanno o per appartenenza di clan culturali.

Per gli umanisti che si richiamavano a Petrarca come al primo che aveva rivolto la sua passione a far riemergere il tesoro disperso e sepolto della humanitas e urbanitas degli Antichi, la Repubblica delle Lettere è una società ideale che ha come riferimento il mondo classico, fatta di eguali, per lo più di nascita plebea o nobili di toga, una comunità di dotti invisibile agli uomini comuni, che coltiva un sapere che trascende la morte, le distanze, le divisioni politiche e religiose. Una società di uomini che si pensano né cives né sudditi, ma soggetti di un nuovo rapporto con se stessi, con gli altri e con la conoscenza e la verità. Stato nello Stato, o Stato sovranazionale, la Repubblica delle Lettere armonizza la respublica cristiana di Sant’Agostino «di cui è fondatore e governante Cristo» e la repubblica ideale di Platone e di Cicerone. sino a figure meno conosciute ma di cui Fumaroli traccia un affascinante ritratto come il provenzale Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, non scrittore o poeta in proprio ma «procuratore generale» e «mecenate» della Repubblica delle Lettere, con contatti che si diramano ovunque. Italiane per lo più, ma divisive ed in lotta tra loro sul piano politico, sono le capitali culturali europee della Repubblica delle Lettere: Firenze, Roma, Napoli, Venezia, Aix, Parigi, ed infine un uomo che da solo è una “capitale culturale”, prima di un capitale culturale in senso sociologico per tutta l’Europa, quell’Erasmo il nordico, incline al libero esame e alla modernità teologica, letteraria e scientifica. La contagiosa passione di Petrarca per far riemergere il passato, divampa per tre secoli in Europa, contagia Marsilio Ficino e «quella società di amici e di uguali» per arrivare fino a Londra e Amsterdam.

I membri della Repubblica delle Lettere («grandi anime, nate troppo tardi») hanno a lungo costituito, grazie soprattutto allo scambio epistolare, quella che potrebbe essere stata anche l’unica entità̀ sovranazionale felicemente riuscita, «una grande città invisibile e salda». Perché la stessa espressione Repubblica delle Lettere ci ricorda Fumaroli si diffuse e prese a significare la comunità dei dotti – o, più genericamente, i letterati, o il sapere – e restò in uso, con modificazioni legate al divenire della cultura europea, fino al Settecento. La repubblica delle lettere, nei suoi tratti salienti, è uno stato immaginario o un utopia geografica-simbolica, che raccoglie i letterati in quanto cercatori del bene comune e portatori di comuni interessi intellettuali, che ambisce a universalità rispetto alle divisioni politiche, ideologiche o religiose e che si distingue per la libertà intelletuale che garantisce. Questa libertà si configura innanzitutto come libertà di discussione, anche polemica: Pierre Bayle, nel suo Dizionario storico-critico, alla voce «Catius» (compresa nell’edizione del 1720), scrive: «Questa repubblica è uno stato sommamente libero. Le sole autorità riconosciute sono quelle della verità e della ragione e, sotto i loro auspici, si muove apertamente guerra a chiunque».

Quello descritto da Marc Fumaroli, che andava oltre i concetti di confini spaziali, differenze religiose, disuguaglianze sociali e privilegi particolari al fine di diffondere, preservare e far progredire il sapere. I suoi cittadini erano prevalentemente uomini appartenenti alle classi medio-alte delle società dell’età moderna, che – fatta eccezione per pochi fortunati – occupavano ogni genere di professione che consentisse loro di applicare le proprie conoscenze al fine di sostenersi economicamente e pagare le spese di stampa delle loro opere monumentali. Non fu mai una società monolitica: nel corso del tempo, infatti, subì modifiche sostanziali che la portarono all’auge dell’età dell’oro, ma anche al declino e all’implosione finale.

Nel 1927, in una serie di lectures sul romanzo tenute a Cambridge,Edward Morgan Forster aveva osservato che «forse la natura umana cambia perché la gente riesce a vedere se stessa in modo nuovo. Ci sono in giro alcune persone, pochissime, ma c’è tra loro anche qualche romanziere, le quali si sforzano di fare ciò. Ogni istituto e ogni pratica coalizione di interessi sono contrari a simili indagini: la religione organizzata, lo Stato, la famiglia sotto il suo profilo economico, non hanno nulla da guadagnare, e soltanto quando i divieti esterni si allentano queste indagini possono proseguire».

La Repubblica delle Lettere si reggeva sull’idea che la letteratura fosse autonoma, la sfera dell’alta cultura umanistica fosse un patrimonio iperuranico, in contrapposizione con una tendenza ormai essenziale, almeno dal secondo dei lumi in poi, della sfera intellettuale sempre più impegnata nella politica, nel sociale, nei movimenti di lotta, in una sola parola nella Storia civile. Animata dalla rivendicazione dell’autonomia delle proprie attività e delle proprie funzioni rispetto alla sfera politica ed economica, la Repubblica delle Lettere cade sotto i colpi della pubblicistica di attualità diremmo oggi della Rivoluzione francese, il giornalismo sferra un corpo mortale ai repubblichini delle lettere. Repubblica Francese contro Repubblica delle Lettere. La Repubblica delle Lettere non troverà più patria in un Europa affollata ormai di pubblicisti rivoluzionari, la dolcezza del vivere sarà insanguinata dalla ghigliottina, l’ideologia prenderà il posto della humanitas. Robespierre, anche se si rifà al passato repubblicano della Roma Antica, alla magnificenza retorica di Cicerone e della maestà storiografica di Tacito, mette in scena sentimenti, istinti, passioni fraterne: le ombre del totalitarismo e del terrore. Sempre più spesso gli scrittori difendono la causa dell’umanità e la coltivano non entro, ma contro le istituzioni.

Dopo la fine della Repubblica delle Lettere, gli intellettuali diventano gli avvocati dell’umanità, con i loro appelli di scrittori contro questo e contro quell’altro, fino a quelli di un Moravia contro la bomba atomica. Ad esempio, pensiamo a dopo la prima guerra mondiale al progetto della Società delle Nazioni è anche l’occasione per dare dimensione istituzionale all’idea di una repubblica delle lettere, con la costituzione, proprio in seno alla Società delle Nazioni, di una Commissione internazionale per la cooperazione intellettuale (1922). A questa iniziativa contribuiscono intellettuali di varia provenienza (sebbene la parte della Francia sia preponderante), nel contesto di un diffuso sostegno al progetto della Società delle Nazioni.
Pensiamo al PEN CLUB, alla comunità degli scrittori in senso alla seconda internazionale, e così via. Più volte nella storia contemporanea, si sono cercate riedizioni della Repubblica della Lettere. Non sorprende quindi un progetto come quello del PEN International, nato nel 1921 per iniziativa della poetessa inglese CatharineAmy Dawson Scott, con John Galsworthy come primo presidente e con scrittori di ogni nazionalità fra i propri membri (lo stesso Wells ne fu presidente e nel 1933 promosse l’espulsione del Club tedesco, che non aveva difeso Thomas Mann e altri scrittori esiliati dal nazismo. E Mann, lungo la traversata dell’Atlantico, sul piroscafo, leggerà Don Chisciotte: non c’è esilio dalla repubblica delle lettere).

O ancora prima, quando all’inizio del Novecento, «repubblica delle lettere» sembra un’espressione impropria, storicamente, ma alcuni tratti dell’idea ricorrono con evidenza nella discussione che i letterati europei impegnano prima, durante e dopo la Grande Guerra. Nella sua Lettera a coloro che mi accusano, del 17 novembre 1914, Romain Rolland scrive: «Se, come dice la saggezza delle nazioni, la guerra si prepara in pace, bisognerà anche che in guerra si prepari la pace. Mi pare un compito tutt’altro che indegno per quelli tra di noi che si trovano fuori del combattimento e che, per la vita dello spirito, hanno legami più estesi con l’universo, – questa piccola chiesa laica che, meglio dell’altra oggi, conserva la sua fede nell’unità del pensiero umano e crede che tutti gli uomini siano figli dello stesso Padre».

Nella repubblica delle lettere, i confini non sono quelli degli stati nazionali, ma soprattutto il confine era l’autonomia della letteratura dalla politica, sarà infatti la politica diventata ideologia ad abbattere le mura della repubblica. Ogni volta che la letteratura parla a nome di un soggetto politico si consegna inevitabilmente alla Storia, o come oggi, al mercato o al pubblico.