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Io desidero il mio desiderio: le donne di Agata Piromallo Gambardella


Agata Piromallo Gambardella (Napoli, 1935) raccoglie in questo felice esordio narrativo sei racconti che vedono protagoniste donne: donne insicure, donne volitive, donne belle, donne infelici. Donne. Quotidianità senza luce è una raccolta di racconti che si presta a diversi livelli di lettura ed interpretazioni, personalmente, vorremo qui soffermarci su di un aspetto che ci è sembrato particolarmente originale del testo: il modo con cui l’autrice descrive e mette in scena il desiderio femminile; carnale e asciutto, essenziale e senza nessun senso di colpa. Poche volte la narrativa italiana, si emancipa dal tabù della descrizione del desiderio dal punto di vista femminile, e così ogni racconto descrive «seni» e «cosce» ed «accarezzarsi», e conserva pagine cariche di uno straordinario erotismo. Caratteristica comune ad ogni racconto, è infatti la comparsa/scomparsa di uomini che rappresentano l’irrompere della sessualità nella quotidianità di queste donne, e con essa naturalmente la promessa d’amore che lo accompagna. Promessa che poi quasi sempre non si avvera, ma non è questo quello che conta: queste sei donne avranno conosciuto il desiderio. Anche, infatti, quando questo desiderio è negato esso può essere sublimato da un oggetto feticcio o dal più classico animale feticcio erotico: il cavallo (come nel primo racconto: La giocatrice). Le donne della Piromallo essenzialmente desiderano l’amore, e desiderando l’amore desiderano se stesse come donne, desiderano la propria femminilità. Ogni racconto in una sorta di crescendo dal primo all’ultimo è anche la presa di coscienza da parte di una generazione di donne di questa nuova condizione o possibilità sociale che rompendo gli schemi classici e tradizionali della borghesia rivendica il proprio diritto al godimento, all’amour fou, all’amore passione: in una sola parola al sesso.

Questo ruolo del desiderio emerge ancora con più forza perchè il testo rimane tutto dentro un registro realista, quello che oggi si direbbe modello “vita vera” o docufiction. A noi ciò appare evidente perchè i personaggi sembrano più conosciuti di persona che inventati dalla scrittrice, alcuni dettagli ed alcuni riferimenti hanno una concretezza che sarà si poi completata dall’immaginazione, ma solo come estensione della traccia di eperienza diretta. Storie di vita che rendono ancora più “caratterizzante” questa nostra proposta di analisi – una delle possibili ovviamente – ma che ci peremette di tracciare e seguire un filo comune per il comportamento delle protagoniste che spesso nel testo, che usa una scrittura d’intaglio e minimalista, sono solo accennati. Donne che invecchiano in un destino che non ha realizzato le promesse della giovinezza.

Il libro, infatti, mette in scena questo desiderio delle giovani donne della borghesia napoletana, questo essere combattute tra un’autodeterminazione a vivere la propria vita amorosa e le sue scelte da un lato, e le convenzioni sociali o borghesi dall’altra, tra mammà ed i balli in famiglia e l’attrazione per «passioni violente» a cui spesso si sentono attratte senza nemmeno capirne bene nemmeno il motivo.  In un periodo storico dove l’educazione sessuale è fatta di tabù, sussurri, rossori; queste donne cercano di scoprire il proprio corpo, il desiderio e l’amore. Così passano rapidamente dall’indossare vestitini bianchi o a forma di «nuvola di tulle» a mostrare il loro corpo nudo agli amanti;  ad essere una donna che aspetta il suo uomo per «offrigli il suo sesso e la sua bocca».

Ma soprattutto ogn’una delle sei protagoniste si guarda almeno una volta nello specchio, per trovarsi bella o brutta, o per sapere quando ancora è desiderabile, o cammina in strada per controllare se ha ancora quando cammina per strada gli occhi addosso degli uomini che la guardano. Un termometro della desiderabilità sociale tipico della società meridionale. E poi cos’è lo specchio se non un moltiplicatore del desiderio? Ma ovviamente auto-compiaciuto, io desidero il mio desiderio sembrano dire le donne di Agata Piromallo Gambardella. E questo avviene in una specifica atmosfera psicologica e sociale che l’autrice rende con poche pennellate ma che fa da sfondo alle vicende: prima la guerra, poi la democrazia ed il movimento femminista, in pratica una nuova libertà nei costumi sociali che è prima di tutto un cambiamento radicale nella temperie culturale e psicologica della città. Se infatti fino ad allora borghesia era stata essenzialmente una forma di educazione della personalità, un’educazione che vedeva la rispettabilità sociale al primo posto contro ogni esposizione violenta o fuori luogo delle proprie emozioni (il contrario di oggi, dove domina l’esposizione spontanea delle emozioni sui social media ed in tv); ora dentro queste donne incomincia a svilupparsi il desiderio di vivere autonomamente e liberamente queste stesse emozioni ed attrazioni.  Salvo poi scoprire che la libertà specialmente in fatto di amori e desideri è angosciosa, e lascia spesso molta amarezza. Un testo quindi quello di Agata Gambardella Piromalla che documenta anche un passaggio di costume su di un istituzione sociale come il matrimonio. Non sappiamo, infatti, se era meglio quando erano le madri della borghesia e dell’aristocrazia napoletana a combinare i matrimoni, oppure ora che sono queste donne a scegliersi i loro amori quasi sempre infelici. Perché i matrimoni borghesi erano solidi ed inviolabili nella forma e proprio nel mantenere la “forma” trovavano la loro ragione d’essere. Poi ogn’uno si arrangiasse come volesse per il resto. Un resto che era spesso casino per gli uomini o amanti, e poco o scarso godimento per le donne. Ora invece, anche se sono queste donne a provare a costruirsi un proprio percorso affettivo-relazionale questo percorso spesso porta solo infelicità. E poi nei matrimoni combinati almeno non si ci arrovellava se c’era amore o no. Anzi, spesso vi era gentilezza e non era poco. In pratica, queste donne che vivono nel momento di passaggio tra due epoche, assumano un ruolo attivo nel gioco dell’erotismo e della sensualità, che spesso nel testo diventa immaginaria e misteriosa attrazione. «Sofia si sentiva presa in una trappola di piacere e di paura, ma soprattutto di piacere che si smontava e si espandeva dove lei non avrebbe mai immaginato». Immagini il lettore, dove. E qui parliamo della storia di attrazione tra una giovane ragazza ed un colonnello dell’esercito in pensione, vedovo, incontrato su di una panchina sul lungomare, che al secondo incontro, gli dice chiaramente, «io ho bisogno di un corpo puro come il tuo». Forse facendo un altro salto temporale, ai giorni nostri, quello che hanno perso le nuove generazioni sono proprio gli “effetti” a queste richieste dirette e sfacciate, che oggi sono diventate talmente normali e comuni o digitali, e susciterebbero una risata di scherno. Ma allora… erano proprio le repressioni familiari che scatenavano la carica erotica del proibito, poche occasioni, quindi si andava subito al dunque, perché si aveva possibilità magari di vedersi solo una volta a settimane, pochi minuti la domenica. Ma l’originalità del libro di Agata Gambardella Piromallo consiste nel documentare lo sguardo femminile sul desiderio sessuale, il desiderio visto dalla parte delle donne, e lo fa ambientando le sue storie proprio negli  anni in cui l’immaginario soft-erotico era dominato dal medium-icona di D’annunzio e dai suoi romanzi; ed a differenze del Vate che dettava le regole dell’amore in una scrittura estetica, raffinate e decadente, la Piromallo presenta il tema con una scrittura minimalista ed essenziale, senza fronzoli e quasi cruda. Per fare un esempio tra i tanti. Rispetto al modello narrativo di una fiction televisiva qualunque o di un romanzetto rosa, che avrebbe raccontato come la giovane vedova si sia innamorata dell’insegnante d’italiano di liceo, tutto poesie, romanticismi, parole dolci e ricerche in biblioteca,  e poi a compimento di ciò il loro incontro passionale. No, la Piromallo ci dice che Margherita si scambia con Eugenio qualche occhiata al Luna Park dove porta a giocare solitamente il figlio, poi un giorno che è riuscita a mollare il figlio alla sorella, va da sola al Luna Park per andare subito a casa di lui, e «senza indugi, ne falsi pudori, cominciò a sfilarsi lentamente le mutandine, a sbottonarsi la camicetta, ad alzarsi la gonna, e accarezzandosi il pube, lo invitò a fare altrettanto». Qui entriamo nella concezione profonda della sessualità dell’autrice «era soprattutto il suo corpo che cercava il piacere e la gioia, tutto il piacere e la gioia del mondo[!], come una bestia che cerca il suo nutrimento, altrimenti sa che è destinata a morire». Sono donne che scelgono, è il desiderio di donne attive e volitive, il corteggiamento ha poco o nessun senso. Prendere o lasciare.

In pratica, se amour fou e matrimonio borghese con le sue istanze sociali, casetta, mogliettina felice e bimbi, corrispondessero sempre, non ci sarebbero questi racconti. Ma proprio in questi racconti, il modello della famiglia borghese va in frantumi a causa di uomini imprevedibili o a causa di donne imprevedibili – guarda un po’ si è esaurito l’amore per mio marito! (come nel racconto la Sposa Infedele che chiude la raccolta). La guerra che fa da sfondo ai racconti acuisce l’intensità del desiderio ed è forse per questo che non sembra fuori posto una frase come «amarsi senza ritegno» o le accensioni sessuali delle protagoniste o del loro desiderio carnale. La guerra era stata per tutti come sempre per l’umanità, una cosa “senza ritegno”, e l’imminenza della morte o aver passato un periodo di morte e devestazione è da sempre un grande erotizzatore sociale.

Nel libro, risalta la capacità della scrittrice di prendere le distanze da queste storie, di partecipare emotivamente al loro destino, ma allo stesso tempo di descrivere la traiettorie di queste stesse vite con oggettività.  Una giusta distanza, per un libro sull’amore non banale. Non è il classico libro: storie d’amore con impedimenti. Ma è un libro sulla ricerca di sé tramite l’amore passione ed il desiderio carnale; e forse proprio perché hanno cercato loro stesse nel proprio desiderio che queste donne si sono perse, e finiscono tutte infelici e sconfitte. Forse il titolo “senza luce”, si riferisce proprio a questo. Ma è un titolo che non rende la complessità dei racconti, a cui non aiuta nemmeno l’introduzione dell’autrice, che parla di «spaccato sociologico» e di «donne perdenti». Il desiderio se vissuto fino in fondo è sempre una condanna. La Napoli greca conosceva Dioniso, conosceva la sua ebbrezza che si pagava sempre con il disordine. Eros è sempre anche thanatos o infelicità. Il negativo del desiderio è quindi un tema universale e non storico-sociale. Per quanto riguarda lo spaccato sociologico, la città descritta è Napoli, certamente; ma potrebbe essere qualsiasi città Mediterranea o Latino-Americana. Non è il solito raccontino folkoristico alla Montalbano per intenderci, non ci sono “napoletanismi” stucchevoli o i soliti luoghi comuni sulla città. Il tema di fondo è universale, e nemmeno di genere: uomini, donne, omosessuali o altro, non sempre si riesce a coniugare l’amore passione, l’amore fisico, viscerale e carnale con il destino (c’è chi rimane vedova), ancora più difficile coniugarlo con una rigida educazione sessuale e/o con la ricerca di un partner con una buona posizione sociale (elementi classici delle aspettative borghesi),  o ancora come in un altro racconto coniugare il desiderio sessuale con il desiderio di maternità. Temi dei grandi romanzi vittoriani inglese del Settecento, ed in Inghilterra la modernità come la rivoluzione industriale arriva prima che a Napoli, ma mentre il romanzo inglese è tutto ironia, dialoghi come gara di esprit ed intelligenze sofisticate, romanticismo e begonie, in una città come Napoli è in primis sensualità; prima parla il corpo, poi il cervello.  E non sempre le due cose concidono.

Il libro di Agata Piromallo Gambardella ci ricorda che il desiderio rimane un mistero. Il desiderio ci distrugge tutti. E Donne. Qualità senza luce contribuisce ad infittire questo mistero. Il libro di questa ottuagenaria rimane sorprendente perché tratta il desiderio – femminile o maschile che sia – per quello che è: il desiderio umano  che qualcun altro desideri il nostro corpo. E quindi la sua impossibilità, perché qualsiasi desiderio del desiderio del proprio corpo, come insegna da diversi secoli il cristianesimo (che poi offre anche la soluzione), è destinato a rimane inappagato.

MICHELE INFANTE