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Reale e Virtuale. Il realismo. Origine 17/2015


Che cos’è il realismo?

di Walter Siti

Lo racconta Chesterton in una sua bella biografia di Dickens: quand’era giovane e indigente, Dickens passava molte ore in un povero caffè di St Martin’s Lane e gli capitava di posare l’occhio, sovrappensiero, su una scritta della porta a vetri. La scritta, “coffee room”, era studiata per l’esterno ma lui la leggeva rovesciata da dentro; cosí, dichiarò in seguito, ogni volta che in ben altri e piú ricchi caffè gli capitava di leggere “moor eeffoc”, tutta la sua giovinezza gli tornava di colpo alla memoria, fresca come se il tempo non fosse passato. Proust cinquant’anni prima. Ma Chesterton sostiene che quelle selvatiche parole, incomprensibili come una formula magica, sono “il motto di ogni realismo efficace”. Proust è dunque uno scrittore realista?

Il realismo, per come la vedo io, è l’anti-abitudine: è il leggero strappo, il particolare inaspettato, che apre uno squarcio nella nostra stereotipia mentale – mette in dubbio per un istante quel che Nabokov (nelle Lezioni di letteratura) chiama il “rozzo compromesso dei sensi” e sembra che ci lasci intravedere la cosa stessa, la realtà infinita, informe e impredicabile. Realismo è quella postura verbale o iconica (talvolta casuale, talvolta ottenuta a forza di tecnica) che coglie impreparata la realtà, o ci coglie impreparati di fronte alla realtà; la nostra enciclopedia percettiva non fa in tempo ad accorrere per normalizzare, come secondo gli stilnovisti gli spiriti non fanno in tempo ad accorrere in difesa del cuore all’apparire improvviso della donna amata. Il realismo è una forma di innamoramento.

Proust ha fatto di questa realtà a contropelo una risorsa narrativa: sia negli aneddoti minuti, descrivendo i pugni di Saint-Loup infuriato come l’avvicinarsi rapidissimo e misterioso di ovoidi vorticanti nello spazio, sia negli snodi essenziali, come quando scopre la nonna in un attimo d’abbandono e al suo posto vede (terribilmente) una sconosciuta sciatta e malata. Anticipa il futurismo e promuove l’impressionismo, psicologico oltre che percettivo: “Elstir dipingeva il mare come Dostoevskij racconterebbe una vita”.

Il realismo di Dostoevskij consiste nel far compiere ai suoi personaggi gesti incomprensibili, che solo dopo vengono spiegati e che comunque molto spesso vanno al di là del nostro orizzonte emozionale d’attesa.
Verso l’inconscio e inedite mutazioni dell’anima.

L’incomprensibile è una buona porta per entrare nella realtà: Julien Sorel vede il giovane vescovo di Agde che disegna nell’aria misteriose traiettorie e ci mette un po’ per trovare il coraggio di capire – che cioè il vescovo inesperto si sta semplicemente allenando a impartire benedizioni. Certe volte, paradossalmente, è proprio l’abitudine (diventata meccanica e inconscia) a cogliere il personaggio in contropiede: Anna Karenina alla stazione ha un an-nebbiamento percettivo, si crede per un istante sul bordo dell’acqua e si fa macchinalmente il segno della croce, ma il suo tuffo sarà piú tragico e fatale.

Molto prima di essere usato da Brecht contro l’identificazione realistica, lo straniamento ha militato a lungo sotto le bandiere del realismo.

Walter Siti

incipit di:

Walter Siti
Che cos’è il realismo
Nottetempo Editore