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La modestia di Rafael Spregelburd regia Luca Ronconi


 

La modestia
di Rafael Spregelburd

regia Luca Ronconi

con F. Ciocchetti, M. Paiato, P. Pierobon, R. Russo Alesi

teatro Carignano – Torino [12-24 marzo]

Recensione del 16.03.2013

Inappetenza. Stravaganza. Modestia. Stupidità. Panico. Paranoia. Cocciutaggine.

Questa è la personale declinazione moderna dei vizi dell’umano genere redatta da Spregelburd. Destinata a sovrapporsi o sostituire quella elaborata dalla teologia cristiana, visionariamente compendiata nella tavola del Prado di Bosch che dà il titolo al ciclo di opere del drammaturgo argentino, di recente pubblicato anche in italiano. Per il quale la corrispondenza con i vizi canonici è sotterranea, liminale, inafferrabile per via puramente analitica o razionale. Proprio come accade in questa Modestia che etimologicamente si pone all’opposto della superbia, e che è scandita da una scrittura che ne disperde e frantuma i contenuti drammaturgici nel campo sterminato e sul costante orlo della falsificazione che è quello del teatro dell’assurdo.

Si tratta per questo di un’opera in cui la regia di Ronconi trova il materiale adatto per misurarsi con alcuni dei temi ricorrenti della sua poetica. Primo su tutti quella proteiformità del reale che è la cifra costante della sua inafferrabilità, e che misura i fallimenti esistenziali su una scena che è un moltiplicatore di illusioni menzognere, le quali soltanto dentro se stesse trovano le leggi che ne regolano un funzionamento pure impeccabile, ma che per questo generano un corto circuito continuo e impenetrabile. Una effettiva taumaturgia, ma imperniata sull’impasse di un confine insuperabile tra una vita refrattaria alla scena, e una rappresentazione che sembra non avere altro oggetto al di fuori di sé e dei suoi meccanismi.

Nel connubio Spregelburd-Ronconi la forma in cui si concretizza il testo è denotata dalla sua stessa incomprensibilità sin dal mero piano cronologico dell’azione. Insondabilmente divisa tra due tempi l’uno all’altro remoti. Dentro uno spazio che è il medesimo interno abitativo, l’unico fattore unitario dell’opera, ma che percorso com’è dagli spostamenti autonomi e arbitrari degli oggetti ogniqualvolta vi è il passaggio dall’uno all’altro piano della rappresentazione, diviene ulteriore fattore di destabilizzazione, di stordimento quasi, inesorabilmente assestandosi anch’esso a fare da vettore delle insondabili traiettorie esistenziali delle due coppie di personaggi. Interpretate dai medesimi attori, e alternativamente divise tra il contemporaneo di un appartamento argentino dove accade una storia un po’ sudicia di tradimenti e sinistri, e quello remoto di una regione dell’est europeo in cui prende forma, se così si può dire, una melensa storia di amore coniugale che ha per protagonista un tisico scrittore privo di talento e in fin di vita, la cui modestia non è che l’esito combinato di impotenze esistenziali e di residui male gestiti di onestà intellettuale.

Ma la trama è un puro pretesto. Per molti aspetti una finzione e un consapevole gioco di sviamenti. Quel che conta è il meccanismo teatrale che viene innescato e le conseguenti distorsioni quasi anche percettive per cui lo statuto stesso di quel che si suole considerare il campo dell’espressione ne viene sabotato alla radice. Le parole e le cose devono per forza avere un senso molto diverso o contrario rispetto a quello che apparentemente esprimono. Ma lo scherno e la derisione pure esibiti che le permeano sono privi di rimandi, dal momento che è del tutto prevalente quell’effetto di incanto e di evocazione da cui sono contrassegnate tutte le scritture antirealistiche. Vi è per questo ben poco da riconoscere o su cui riflettere. Se non i rimbombi di una guerra ormai iniziata, o mai terminata, che il finale preannuncia. O finalmente disvela.

Riferimenti bibliografici
R. Spregelburd
Eptalogia di Hieronymus Bosch 1, Ubulibri 2010
Eptalogia di Hieronymus Bosch 2, Ubulibri 2010
trad. Manuela Cherubini

Roberto Balzano

 

 

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