UA-51082228-1 Origine n.10 | Rivista Origine UA-51082228-1

ORIGINE N. 10

Teoria politica dei sistemi sociali
Conservazione del potere, relazioni, auto-legittimazione e aspettative sociali

di Michele Infante

– Dossier “Bruce Sterling” –
a cura di Davide L. Malesi

  • L’umanista prossimo venturo. Conversazione con Bruce Sterling
  • I barbari alle porte. Un tour d’horizon sull’Unione Europea di Bruce Sterling (saggio)

– Scritture –

  • Su pinocchio ed altri automi (II parte) di Leonardo Colombati (saggio)
  • Labilità di Labilità – scriversi, trovarsi, perdersi sul romanzo Labilità di Domenico Starnone di Michele Infante (saggio)
  • Su alcune funzioni della letteratura (II parte) di Umberto Eco (saggio)

– Conversazioni&Incontri –

  • La scrittura come illuminazione. Conversazione con Don DeLillo di Maria Moss [trad. di Davide l. Malesi]
  • Il giallo come “letteratura della realtà”. Conversazione con Massimo Carlotto di Tiziana Dazzi

– Dietro la scrittura –

  • Atteggiamento sospetto. Il potere sovversivo dell’immaginazione di Azar Nafisi a cura di Seia Montanelli (saggio)
  • Lo spiazzamento del “kitsch”. La rottura del “letterario” in Elfriede Jelinek di Michele Infante (saggio)

– Un classico da riscoprire –

  • Sul romanzo “La chiave” di Junichiro Tanizaki di Davide L. Malesi (saggio)

– Testi&Pretesti di lettura –

  • Recensioni (su: DAVID SCHICKLER – WU MING 1 – J.R. LANSDALE – LUCIO KLOBAS – JAMES G. BALLARD – DAVID PEACE – ENZO FILENO CARABBA – RENE’ FREGNI – ALBERTO RAGNI – MURIEL SPARK- TULLIO AVOLEDO – JEANETTE WINTERSON – DAVID FOSTER WALLACE)

Teoria politica dei sistemi sociali
Conservazione del potere, relazioni, auto-legittimazione e aspettative sociali

di Michele Infante

Premessa metodologica

La teoria politica dei sistemi sociali segna uno spartiacque rispetto ad una concezione politica che si pone a cavallo dell’opposizione (radicale o dialettica che sia) tra Uomo e Società, Stato e Cittadino, Diritto e Morale, Potere e Libertà, ma soprattutto tra Potere Politico e Legittimazione Sociale. La teoria politica dei sistemi sociali rompe con la lunga tradizione delle categorie classiche della filosofia politica, non si parlerà più di «libertà», «giustizia», «pace sociale», «diritti politici», «uguaglianza», «riconoscimento», etc.; essa non considera più l’individuo parte del sistema sociale in quanto “cittadino” o “persona”, ma al contrario considera tutta la sfera semantica riferibile all’individualità – per dirla con le parole di Luhmann: «non più come parte del sistema sociale, ma come ambiente problematico del sistema stesso» . In altre parole, non si pone più la questione di cosa sia la libertà, cosa sia la giustizia, quale sia la migliore forma di organizzazione del potere (come nei dialoghi platonici o nelle interrogazioni logiche della filosofia greca ed in vario modo in tutta la riflessione politica successiva), ma invertendo i termini del problema e ovviamente la prospettiva di analisi, la domanda diviene: cos’è l’uomo per le forme sociali in cui si declinano di volta in volta l’idea della giustizia, della libertà e dell’organizzazione del potere? Cos’è per le forme sociali l’uomo che nel suo tempo storico assume la semantica della libertà? Cos’è l’uomo per le forme e i limiti, le ingerenze e le strutturazioni del potere politico?
Una volta stabilito che “giustizia”, “libertà individuali”, “pace sociale”, “diritti politici”, etc. non sono valori eterni ed universali, ma solo contingenti e frutto di selezioni cognitive e sempre parziali rispetto alla complessità della loro attualizzazione concreta, la teoria dei sistemi sociali cerca di capire come può funzionare e strutturarsi il macro-sistema sociale, senza sorreggersi su un universalismo valoriale e tanto meno su una scala di vicinanza o lontananza dall’ideale valoriale in questione (“il tendere a”, “la maggior libertà, giustizia, etc. possibile”). In altre parole, inverte il modo di guardare ai fenomeni politici, ma soprattutto di guardare al sistema-uomo.
Non essendo più spiegabile il perché dell’agire politico facendo riferimento a soggetti e a gruppi ideologici o a classi sociali facilmente individuabili all’interno della società (i cattolici laici, liberalisti/socialisti, destra/sinistra, etc.), bisogna abbandonare ogni riferimento a ideal-tipi politici o categorie sociali o anagrafiche (gli operai, i giovani, i pensionati) o psicologismi ideologici (conservatori-riformatori) .
Del lessico e dell’ordine del discorso della teoria filosofica-politica cosa rimane, se si concepisce ogni tipo di valore proveniente solo dalla dialettica sociale e totalmente immanente alla società da cui è prodotto, se ha valore solo ciò che all’interno della società funziona e trova consenso; e se questi valori sono per lo più contraddittori, labili, dati da emotività momentanea, da crisi contingenti?
La teoria sistemica quindi non vede più i sistemi politici costituti dal singolo, inteso come «individuo» che fa parte della società politica, bensì da «azioni, interazioni, ruoli, strutture selettive di senso» . La specificità dell’individuo e le sue rivendicazioni, care ad una logica liberale, non riescono più a spiegare la diversità, la ricchezza, le opportunità, il mutamento, le contraddizioni che registriamo nella politica europea contemporanea.
Metodologicamente, contro un certo tipo di analisi che si spinge fino a trattare la psicologia impenetrabile degli individui e le loro motivazioni di voto (mettendole in relazione alla professione piuttosto che alle aree geografiche), noi ci limiteremo a registrare e valutare invece solo le azioni che i sistemi compiono e a valutare gli ambienti in cui queste azioni trovano compimento. L’analisi parte dalla constatazione generale che la società contemporanea, non solo quindi il sistema politico, è posta in condizione sia di progettare, sia di mantenere un mondo infinitamente aperto, variamente complesso ed infine ontologicamente contingente ed indeterminato le proprie strutture sociali e istituzioni politiche.
Pertanto, l’evoluzione delle relazioni tra diversi sistemi sociali, così come era stata concepita e pensata dal pensiero politico liberale scozzese non trova più applicazione nelle democrazie liberali del secondo dopoguerra. Erroneamente, si è attribuita la causa della crisi di tale modello esclusivamente all’allargamento della base elettorale e all’uso manipolativo dei mezzi di comunicazione di massa, senza tuttavia registrare l’involuzione gerarchica tra due sistemi essenziali dell’ambito sociale, quello Politico e quello della Legittimazione del Potere. Nello specifico, il Sistema Politico, invece di sottoporsi alla verifica e alle procedure di valutazione del Sistema Elettorale (come previsto dal modello politico liberale), usa il Sistema Elettorale a fini sistemico-autoconservativi. In altri termini, il Sistema Politico, piuttosto che sottoporsi al Sistema Elettorale proposto dal modello liberale-democratico-pluripartitico, ha imparato ad usarlo, e quindi ad «adoperarlo come base di ogni esperienza e azione selettiva e come “fonte” di scelte contingenti» . In altre parole, cercheremo di dimostrare come sia cambiata la relazione Sistema Elettorale-Sistema Politico e come, nello scenario sistemico attuale, sia il secondo a legittimare il primo e non viceversa.

 

Elementi strutturali concorrono all’evoluzione del Sistema Politico. La società diventa più complessa e necessita di normazione e azioni tendenti a gestire questa complessità in modo efficace. La tarda modernità, o la post-modernità come dicono altri, che oggi ci troviamo a vivere, presenta essenzialmente una compresenza di fattori arcaici: relazioni di potere di “vassallaggio” o di natura “familista” nel rapporto di fedeltà ai leaders s’intrecciano ad istanze etico-politiche di trasparenza e meritocrazia; ed ancora, forze frammentarie e disorganiche di diritti della donna, pari opportunità, solidarietà sociale convivono con idee iper-liberiste e concezioni di darwinismo sociale. Queste forze arcaiche vanno così a mettere in crisi la categoria classica della modernità politica, quella hobbesiana per intenderci, centrata sul rapporto potere individuale-potere sovrano, fino a farci affermare che «non esiste più per il cittadino un rapporto autorità-suddito, ma più rapporti di comunicazione con le forze politiche» .
Tra i fattori che riemergono prepotentemente dal loro stato pre-moderno, di certo il più significativo è la crisi del processo di secolarizzazione che aveva permesso l’ “autonomizzarsi” del discorso politico dalla sfera etica e religiosa . Di contro, altre categorie filosofico-politiche come la “volontà popolare”, il “comando” e la “sovranità” sembrano essere ormai in crisi. La teoria dei sistemi, infatti, propone diverse semantiche e parole chiavi ormai entrate anche nell’uso politico (le incontreremo nella lettura di questo testo), “sicurezza”, “benessere”, “identità etico sociali”, “possibilità”, “aspettative”, etc. .
Stiamo assistendo ad un ridefinirsi in altri termini di quel bisogno di “unità nella molteplicità” che già Hobbes aveva intuito, rappresentandolo nella figura del Leviatano; essa in termini sociologici esprime il bisogno di ogni comunità umana o gruppo sociale di poter operare insieme, di percepire la propria continuità e tradizione, di condividere un insieme di affermazioni sul significato del vivere comune e la sua regolamentazione.
Il «politeismo dei valori», proposto da Max Weber, non esclude la necessità di trovare un’intesa, per quanto parziale e momentanea essa sia, basata non più su una paideia di valori condivisi, ma su un’educazione alle azioni e operazioni che il sistema politico deve compiere, innanzitutto per rimanere sistema e riaffermare la propria differenziazione da altri sistemi e dal proprio stesso ambiente. Là dove la teoria politica tradizionale vede come motori della Storia, alcuni princìpi-valori-categorie filosofiche, quali l’uguaglianza, la libertà, l’ emancipazione di classe, etc.; la teoria dei sistemi vede un continuo crescere della differenziazione sociale e della sua complessità, vede il bisogno di prendere decisioni da parte del Sistema Politico ricorrendo di volta in volta a fonti di legittimazione interscambiabili e flessibili. Vorrei ricordare, ancora una volta, che la teoria dei sistemi non ragiona su principi e valori e loro affermazione o negazione, ma sulle operazioni atte alla gestione di fenomeni sociali a carattere storico ed evolutivo: come la differenziazione sistemica e sotto-sistemica che moltiplica le possibilità di essere, di agire, di informarsi, di scegliere.
Cercheremo allora di spiegare il “potere politico” senza metterlo in relazione dicotomica con le parole classiche del lessico politico tradizionali come “ordine” o “sicurezza sociale”, e nemmeno con le parole di una sociologia del conflitto che vede la società come luogo di lotta di classe, di conflitti che minacciano l’ordine, etc.; vedremo invece come il conflitto è funzionale allo stesso ordine sociale. Le domande a cui si cercherà di rispondere in questo scritto sono pertanto:
1. In che modo un sistema politico riesce ad assicurarsi una riserva sufficiente di alternative e di possibilità di variazione?
2. In che modo esso si sottrae a vincoli strutturali troppo concreti che rischiano di bloccare la sua capacità di manovra e di provocare disturbi capaci di innescare la crisi entro un ambiente mutevole?
3. In che modo esso riesce ad impedire che la Storia si coaguli in strutture sopprimendo altre possibilità?

Capitolo 1
Il sistema politico ed i suoi sotto-sistemi funzionali
Come la «razionalità sistemica» sostituisce la legalità e le procedure, come risposte alla gestione della complessità sociale

1.1. La democrazia da «forma di dominio» a «tecnica di controllo del sistema sociale»

Il vero salto di paradigma operato dalla teoria sistemica della politica si compie con un’affermazione apparentemente molto semplice: «la democrazia non è una forma di dominio, ma una tecnica di controllo del sistema» . In queste poche parole si può trovare un esame del tutto procedurale del fare politica. Già Antonio Gramsci notava che la politica non era più «scienza della trasformazione» ma si mutava in «amministrazione dell’esistente»; egli indicava la separazione, dalla società nel suo insieme, di un determinato corpo sociale che si occupava di amministrare ciò che era pubblico, sottolineando quindi la nascita di un ceto separato. In termini di teoria dei sistemi e di sociologia, questo processo è il processo di differenziazione sociale (Differenzierung), secondo la quale all’interno della società nel corso dei secoli vi sia un costante dividersi e moltiplicarsi degli ambiti e dei sistemi. Dall’insieme sociale sorgono corpi e sistemi chiusi che svolgono specifiche funzioni, si danno determinate regole, rivendicano la propria autonomia, si strutturano ed organizzazione in modo autonomo, ma soprattutto tendono ad essere chiusi e quindi ad assumere un’identità specifica rispetto all’ambiente. Abbiamo già detto come, nell’ambito di una teoria generale sui sistemi sociali, non vanno prese in considerazione le caratteristiche di contenuto, ma solo quelle formali .
La differenziazione del sistema politico ed il suo non essere più legato alla semplice legittimazione della detenzione della forza militare o di un rango nobiliare, segna l’ingresso nella modernità.
Certamente non dobbiamo mai dimenticare, che «un singolo sistema non può da solo né produrre generalizzazione, né fiducia» ; accanto al suo rapporto immediato rispetto alla situazione e alla finalità, dobbiamo sempre leggere strutture e funzioni all’interno della contingenza tecnologico-comunicativa e la sua interazione con altri sistemi sociali (politici, economici, educativi, etc.). Il processo elettorale è sì un processo indeterminato e libero di confronto tra partiti e forze sociali, ma allo stesso tempo esso stesso è gestito dal sovra-sistema politico. Per questo, un meccanismo elettorale, gestito ed orientato dal sistema politico al fine di ottenere un controllo generalizzato del processo e tramite questo del corpo elettorale, si presenta ad una prima lettura come un insieme complesso di simboli , pratiche e rappresentazioni all’interno di una sfera di coinvolgimento di tipo emotivo, piuttosto che di un’attenta ed accurata analisi informazionale e conoscitiva . Già alla luce di queste prime considerazioni possiamo ridefinire la relazione tra democrazia e meccanismo elettivo, come un processo bi-direzionale dove da un lato, il sotto-sistema elettorale si pone all’interno del sistema politico come sotto-sistema interno, dall’altro lo stesso sotto-sistema elettorale, per le sue conseguenze sul sistema politico, si pone anche come sotto-sistema esterno.
Per quanto riguarda invece i processi decisionali propri del sistema politico, questi – come mette in evidenza Luhmann – «sono processi di selezione, cioè di eliminazione di altre possibilità. Essi producono più “no” che “si”, e quanto più razionalmente procedono, quanto più esaminano le altre possibilità in modo approfondito, tanto maggiore diventa il livello delle loro negazioni». Portando alle estreme conseguenze questo ragionamento dovremmo ipotizzare o 1. (e qui proponiamo un’ipotesi radicale) che democrazia e razionalità sistemica sono incompatibili, in quanto un processo razionale di scelta della soluzione migliore impiegherebbe troppo tempo, mentre la democrazia è obbligata a prendere decisioni secondo il tempo della vita che si muove nella logica del «decidendo ed agendo di momento in momento»; oppure 2. (proponiamo un’ipotesi più possibilista) un decidere ed uno scegliere che, al momento di scegliere, «non esclude ciò che non è scelto» . Questa possibilità prevede che si includa in un secondo momento il personaggio politico scartato o l’alleanza politica non avvallata o la stessa decisione politica prima accantonata; questa ri-proposizione di scelte e possibilità non realizzate prima è una strategia necessaria ai sistemi politici avanzati. Questi sistemi devono, in altre parole, presupporre dei procedimenti che rendano il non-scelto non «definitivamente inaccessibile» o scegliere «la variabile scartata o rimasta latente» . Al contrario, invece, quello che risulta non essere stato scelto, il sistema politico da un lato «lo rende inattuale ma d’altra parte, lo conserva» .
Pertanto, essenzialmente l’Aufklärung sociologica di Luhmann si configura come una teoria della risorsa scarsa del potere . Tale risorsa non è in grado di coprire il costante incremento della domanda di potere oltre che l’aumento conseguente di comunicazione simbolica o retorica che si producono con l’aumento della complessità . Se gli individui sono consapevoli del valore simbolico delle proprie azioni, piuttosto che dei loro effetti, diviene più importante l’auto-rappresentazione che essi hanno di se stessi, e magari di se stessi mentre agiscono, che gli effetti che la loro azione politica, spesso limitata al voto, effettivamente svolge. Auto-rappresentazione e motivi tattici legati alla scelta di voto sono i due elementi essenziali della fiducia. A differenza di Goffman , che situa la fiducia su di un lato del tutto personale come il piano psicologico dell’individuo, Luhmann indaga quel «meccanismo che trasforma le strutture della società in fonti di fiducia». E che cos’è il meccanismo elettorale se non una fonte di fiducia sociale?
Il meccanismo elettorale è esterno agli individui. Ogni legge elettorale non è fatta né partecipata dagli elettori. Sono gli eletti che dettano le regole del sistema elettorale. Ma questo meccanismo elettorale da esterno agli elettori diviene anche inclusivo degli stessi. Ciò fa sì «che sia possibile considerarlo e comprenderlo non solo in termini di strategia personale» ma anche come realizzazione della strategia del sistema politico. Ogni elettore nel momento in cui vota è stato in parte intercettato nella sua sensibilità politica dal partito che va a votare. Il meccanismo elettorale a livello generale della società oltre a determinare la fiducia, permette l’iscrizione della fiducia in forme istituzionali o istituzionalizzate. In altre parole, la proceduralizzazione e la legalizzazione, assicurate al sistema politico tramite il sistema elettorale, non sono altro che il frutto di un processo di auto-referenza del sistema politico; infatti lo stesso sistema elettorale viene deciso dai partiti politici ed il suo risultato può essere da essi accettato o rifiutato.
Il fulcro di una visione e di una teoria del politico che si riconduce ad una personalità, ad un uomo politico a tutto tondo che non è la personalizzazione della politica , ma l’incarnazione delle aspettative che esso rappresenta in sè, ruota sull’assunzione teorica che «le aspettative sociali sono decisive per l’attribuzione o meno delle azioni alla personalità» . In società complesse, multipartitiche e dove vengono meno i collanti ideologici, il poter attribuire l’agire politico alla forza della personalità del leader, diviene un elemento prioritario della scelta dei cittadini. Gli elettori sentono in questo tipo di società ed in modo particolare proprio in una “società aperta” (per usare la frase di Popper) il bisogno di un uomo forte, con una personalità forte e capace di gestire differenze, divisioni, interessi contrapposti.
Ma, mentre per Weber la razionalità del sistema politico era estendibile a tutto il contesto a cui si faceva riferimento, un sorta di macro-sistema-macchina che controllava l’ambiente, per Luhmann «la razionalità sistemica (Systemrationalität) è una sorta di reticolo pluridirezionale, che si apre per accogliere e neutralizzare le minacce provenienti dall’ambiente» .

1.1.1 La nuova razionalità sistemica a confronto con altre forme di razionalità

Intendiamoci innanzitutto su cosa definiamo come razionalità. Si definisce razionalità il criterio d’azione che mette in relazione l’agire con la motivazione dell’attore sociale. Il perno del nostro studio è il seguente: quale ratio è alla base dell’azione politica, in questo caso della scelta elettore, e quale motivazione ha l’attore sociale rispetto al voto?
Dal latino ratio, che in italiano si traduce come motivo, senso, ragione, il termine razionalità è definito sistematicamente da Max Weber che distingue tra “razionalità in base al valore” (o Wertrational, determinata dalla volontà dell’attore di seguire un criterio valoriale che definisce il modo in cui operare) e “razionalità in base al fine” (o Zweckrational, determinata dalla volontà dell’attore di raggiungere specifici obiettivi). Nell’uso comune prevale questa seconda accezione, detta anche razionalità strumentale o economica, che negli studi e nelle teorie della Rational Choice e della Teoria dei giochi viene formalmente descritta in modelli logici e matematici.
Max Weber, riflettendo sulle pratiche del sistema politico ed interrogandosi sulla sua razionalità intrinseca, finisce per concepire gli ordinamenti statali come forme di potere legale. Infatti, egli definisce il diritto secondo una concezione positivista: un sistema normativo istituito da un legislatore, non necessariamente democratico, attraverso una procedura giuridicamente istituzionalizzata. Così la legittimità del diritto si svincola dalla morale per rispondere ad una razionalità intrinseca alla forma del diritto, razionalità che a sua volta conferisce legittimità al potere esercitato in forme legali. In altre parole, egli riconosce una razionalità propria del diritto; sostenendo che le proprietà razionali sono proprie delle forme del diritto, e potrebbero essere quindi minacciate da una confusione tra morale e diritto.
Per questo tipo di teoria dell’agire razionale, o dell’human agency, l’attore è dotato di preferenze riguardo a futuri stati del mondo tali che da ciascuno egli trarrà un certo livello di utilità; allo stesso tempo l’attore conosce, o immagina, i possibili corsi d’azione da intraprendere e le conseguenze che essi avranno sulla probabilità che grazie ad essi si avveri ciascuno di questi stati del mondo; incrociando tali corsi d’azione con le utilità attese dal loro dispiegarsi, l’attore sceglie di agire nel modo che massimizza la propria utilità attesa.
Ma ritorniamo ai concetti chiave che differenziano la teoria politica del sociologo francofortese Jünger Habermas dal modello proposto da Niklas Luhmann all’interno di una teoria dei sistemi: il problema della soggettività politica ed il rapporto sistema-ambiente. I due pensatori tedeschi leggono diversamente il problema della “razionalità” reinterpretando, ciascuno secondo la propria visione, il lavoro di Max Weber. Se Habermas interviene più volte sulla crisi di razionalità che individua nelle società capitalistiche avanzate, Luhmann, d’altro canto, scrive che: «Habermas vede il soggetto, come già l’intersoggettività che lo precede, primariamente come potenziale di una motivazione verificabile; l’essere soggetto dell’uomo per lui consiste nella possibilità di addurre motivi razionali e rispettivamente di accettare tali motivi e o la confutazione dei propri motivi nella comunicazione intersoggettiva. Ma con ciò egli coglie solo un aspetto derivato (e per di più, legato ad un epoca ed orami superato), che presuppone un concetto di soggetto che parte da molto più in fondo» e ribadisce poche righe dopo che «il soggetto deve innanzitutto essere pensato come selettività contingente» . Sempre in questo testo Luhmann, sempre contro il sociologo francofortese sostiene che «i problemi di dominio e di distribuzione che si pongono assumendo il punto di vista della struttura di classe di una società sono divenuti obsoleti». Ambiti di alternative e capacità decisionali: ecco cosa, secondo Luhmann, sostituisce la visione classista, ecco le nuove strutture del sistema politico! Dal canto suo, Habermas pone a conclusione del testo La crisi di razionalità del capitalismo maturo la propria confutazione della teoria politica di Luhmann.
Nel testo egli discute della relazione messa in evidenza da Luhmann tra complessità e democrazia. Se per Habermas esiste una differenza tra un «agire comunicativo» ed un «agire strumentale», il primo nell’ambito del dialogo pubblico tra soggetti che anche all’interno della loro differenza o minorità si riconoscono nella sfera di una razionalità dialogante, contro invece un «agire strumentale», ideologico e finalizzato, che diviene un discorso al fine di sopraffazione degli uni sugli altri; per Luhmann, questa differenza si configura come magari auspicabile in forma di tensione filosofica, ma non realistica come verità sociologica; essa, cioè, non è concretizzabile nell’ambito delle relazioni sistemiche . Lo stesso Habermas mostra questa differenza quando scrive «ma egli [Luhmann] crede che mediante una conformità istituzionalizzata della procedura al diritto «vengono creati tali motivi addizionali al diritto per il riconoscimento della decisione, ed in questo senso il potere decisionale venga creato e legittimato, ossia reso indipendente dalla costrizione concreta»
La critica di Habermas a Luhmann e alla sua legittimità politica tramite procedura, è sintetizzabile nella formula secondo cui un sistema politico volendo o ritenendolo utile per il consenso possa legittimare qualsiasi tipo di valore; affermazione ritenuta inaccettabile per un filosofo formatosi alla scuola francofortese come Habermas. Egli ammette il funzionamento procedurale, ma dice anche che «una procedura può legittimare solo indirettamente, rinviando ad istanze che dal canto loro devono essere riconosciute» . Per Habemans c’è comunque «bisogno di un immagine del mondo che legittimi il potere». Contro Luhmann egli scriverà che la sua teoria della legittimità tramite procedura cade nell’«equivoco fondamentale di una dottrina giuridica su cui grava il sospetto di ideologia, e cioè il decisionismo, è che la validità delle norme giuridiche possa fondersi sulla decisione ed unicamente sulla decisione» .
Per Habermas la pura legalità può diventare legittima solo se si ricollega ad un sistema politico pienamente approvato, voluto, sentito. Habermas aggiunge che «un sistema di potere deve essere legittimato nella sua totalità se si vuole che la pura legalità possa valere come indizio di legittimità» . Per Habermas, la norma deve essere «giustificata e difesa contro la critica» ; questo fa sì che la sola procedura istitutiva non basta, ma c’è anche bisogno di ragionare e dialogare sulle norme e sulle decisioni prese. Diverso ed opposto il discorso di Luhmann, che scrive che «il sistema politico deve assicurare l’accettazione di decisioni indefinite, arbitrarie, cioè la legittimità della legalità»; e la strategia con cui fa questo è nelle righe successive in cui egli scrive che «un sistema che tenti di realizzare questo obbiettivo dovrà in ogni caso conservare un ordine altamente improbabile a livello sociologico» .
Per Luhmann «la teoria del procedimento», che riguarda non solo il procedimento elettorale ma anche quello amministrativo e giudiziario, fa sì che si possa considerare lo stesso procedimento un sistema che finisce per legittimare se stesso. Ovviamente bisogna tener conto di alcune possibili critiche che si possono muovere a Luhmann (che non sono certo le obiezioni habermasiane); ma bisogna dire che innanzitutto questa teoria contrasta con due principi alla base della legittimazione dei procedimenti di cui Luhmann non tiene giusto conto, il primo è la giustizia o la percezione di una giustizia del procedimento, il secondo è l’evoluzione storica dei procedimenti. Rispetto a procedimenti basati sull’aleatorietà o sul tirare a sorte che potrebbero essere scelti come procedimenti per la distribuzione delle cariche o procedimenti misti come quello in vigore a Venezia per l’elezione del doge, si percepirebbe come ingiusto un tal tipo di giudizio. La società democratica ha sempre posto come ingiusto o non-legittimante tale tipo di procedimento, anche se formalmente sarebbe più democratico dell’elitarismo (a fare politica è sempre un’ élite) che poi in realtà nella pratica si delinea con il sistema elettorale dei veri e propri professionisti della politica. Il secondo riguarda proprio il dato storico della legittimità di alcuni procedimenti che poi sono diventati desueti e non più utilizzati in certe società. Perché si dovrebbe cambiare un procedimento allorché esso trova auto-legittimazione in se stesso? Paradossalmente perché oggi l’investitura da parte del potere religioso, rivestito dal sacerdote nelle società arcaiche o dal Papa in quelle medioevale, non è più da considerarsi un procedimento legittimante per il potere politico?
Si può obbiettare, come fa osservare Alberto Febbrajo, «che, se è vero che i procedimenti svolgono funzioni di stabilizzazione del sistema, è pur vero che essi non svolgono solo tali funzioni, ma anche funzioni equitative» .
Quella che qui si è definita una giustizia del procedimento elettorale deve essere ipotizzata come limite estremo oltre il quale il procedimento invece di legittimarsi si de-legittima. Quindi in parte, l’ipotesi di Luhmann rimane ancora in piedi, ma deve affrontare altre criticità, tipo rispondere a come sia possibile che: un procedimento che legittima e seleziona politici che poi si rivelano incapaci o inadatti non entra in crisi e non è messo in discussione, anche e soprattutto una volta che si è rilevato per gli elettori stessi inefficace? A questo si cercherà di rispondere nel seguente paragrafo.

1.1.2 De-responsabilizzazione dell’azione politica & complessità sotto-sistemica

Alla base delle considerazioni di Luhmann, vi è un’idea di autonomia del sistema politico, la crescente differenziazione e specificazione dei sottosistemi e la conseguente necessità di delegare ad uno specifico sotto-sistema, quello politico, funzioni ed attività, responsabilità e rapporti reversibili.
Se è vero che la limitatezza del tempo e le limitatezze delle competenze tecniche impediscono all’elettorato una partecipazione elettorale consapevole e contribuiscono alla formazione di élites e di ceti professionali relativamente chiusi , difficilmente sembra trovare giustificazione l’idea che poi questi ultimi impediscano agli elettori di prendere diretta conoscenza delle questioni attinenti al funzionamento degli apparati statali. Questi ceti, invece, dovremmo ipotizzarli coerentemente alla teoria democratica di Luhmann che potremmo sintetizzare nel mantenimento della possibilità di ridecidere continuamente le decisioni già prese, mantenendo così una fase di reversibilità e di osmosi sistemica, nonostante si sia operata una chiusura.
L’azione che coinvolge l’attore politico ha dei confini che non possono essere chiusi.
Questo significa:
1. tenere aperta una possibilità di reversibilità del processo decisionale.
2. avere interesse a far partecipare alla complessità dei processi quanti più soggetti possibili, in modo da tenere aperta ed indistinta la responsabilità delle scelte compiute.
3. assicurarsi una sorta di impunità e de-responsabilizzazione rispetto alle delusioni di aspettative che esse possano comportare.

Alla luce di tali riflessioni, potrebbe essere il voto, nell’accezione data a questo termine dal linguaggio familiare e dallo stesso Luhmann, una forma di «sfogo» sociale?
Pensiamo che l’Offnung in tedesco non è solo lo sfogo ma anche il punto di apertura, il buco, il pertugio attraverso cui si sgonfia la tensione sociale. Quest’espressione potrebbe sembrare forte nel linguaggio accademico, ma quando Luhmann, scrive «il semplice sfogo è di per sé appagante» (der Abzug) non esita egli stesso ad usare questa parola in quanto rivelatrice di una logica da il re è nudo.
«Accanto a questa funzione di riequilibrio delle delusioni il procedimento elettorale, mediante la sua funzione di isolamento del singolo, rende possibile una specie di fiducia negativa: ciascuno può contare sul fatto che gli altri si trovino, come elettori, nella sua medesima situazione, anche se per giungere alla decisione adoperano strumenti di orientamento e meccanismi psichici diversi; in ogni caso essi non sono favoriti dagli altri ruoli da loro ricoperti». Se già Alexis de Tocqueville, parlava della democrazia come «uguaglianza nella servitù» , non possiamo escludere che il meccanismo elettorale ha l’effetto di rappresentare sulla scena sociale un momento di uguaglianza e di partecipazione comunitaria, cioè l’unione ideale dei cittadini che si riconoscono in determinati partiti, anche potendo contestare la gestione generale della politica. Ciò presenta un sistema politico che per quanto possa essere criticabile è sempre espressione di un certo consenso popolare mutevole e deluso, ma mai responsabile della propria scelta. O meglio deve essere sempre possibile per un elettore non sentirsi responsabile diretto degli errori politici del partito votato, anche perché se egli non si sentisse in un modo o in un altro deluso, nonostante l’immissione di una nuova generazione elettorale che vota per la prima volta, le maggioranze rimarrebbero invariate. Occasione di un dissenso verso il sistema politico che non deve andare ad evidenziare responsabilità e capacità che potrebbero minacciare il sistema sociale nel suo insieme, né creare troppe ansie irrisolvibili; i problemi politici devono rimanere aperti, devono essere sempre nuovamente “problematizzati” e mai devono essere spiegati agli elettori con chiarezza, né essere risolti con una presa di decisione forte. Ogni decisione, essendo una chiusura rispetto ad un infinità di possibilità compresenti, ha lasciato fuori un’alternativa sicuramente migliore. Il sistema politico non può permettere la memoria di alternative migliori escluse dal processo decisionale e che costringerebbero il sistema politico ad un autocritica che ne delegittimerebbe l’operato. In altre parole, «le elezioni politiche offrono l’occasione per manifestare un dissenso senza mettere in pericolo la struttura, cioè per compiere un atto espressivo con l’effetto di ridurre la pressione esercitata sul sistema. Esse fanno parte dei meccanismi di assorbimento della protesta, e contribuiscono all’adempimento della medesima funzione dei procedimenti giudiziari»; cioè si può vedere che il sistema politico, come nel caso dell’ordinamento giuridico, deve tenersi indipendente dalle particolarità individuali intese come sistemi di motivazione; là dove la motivazione deve essere separata dalla decisione. L’elettore percepisce sempre la sua motivazione per aver scelto un candidato o un altro partito essenzialmente come positiva, ha agito per il bene del Paese e dei suoi interessi, ma allo stesso tempo, essendo deluso dalla scelta fatta, deve avere la coscienza che la propria decisione invece è stata quella sbagliata e quindi cambiarla. Deve in pratica de-responsabilizzare la propria scelta.

1.2. Dal paradigma del Leviatano al paradigma del Sistema Politico

Entrato in crisi il concetto di “volontà generale” e difficile far riferimento a vecchie idee-concetto come quella di «Popolo» o di «Cittadino»; come d’altro canto, difficile sembra anche poterle sostituire con quelle della più recente pubblicistica bio-politica (pensiamo alla fortuna critica di un concetto come moltitudine). Per tanto non possiamo far altro che lavorare su un vecchio nodo o svincolo da cui deve passare ogni analisi politica, che poi è il nodo centrale di questo lavoro: il meccanismo di soluzione dei conflitti tra l’elettore e l’eletto. Tale rapporto, che si configura all’interno del tradizionale rapporto tra Sovrano e Suddito, Governati e Governanti, delle dinamiche del Potere e della sua Legittimazione, è un campo teorico che presenta una sterminata letteratura. Però, oggi, questa letteratura non sembra essere più applicabile ad una società dove è sempre più facile un cambiamento di ruoli tra i primi e i secondi, anzi dove i ruoli sono molteplici e spesso indistinti, dove spesso controllato e controllore o sono la stessa persona o si scambiano i ruoli. Una dinamica che legasse il primo, l’elettore, a filo doppio all’incompetenza e agli insuccessi del secondo, l’eletto, creerebbe un vincolo che inficerebbe qualsiasi possibilità di cambiamento.
Questa relazione deve essere vista non nell’attivazione di determinati meccanismi psichici e nei suoi processi di elaborazione interna, ma piuttosto nell’immunizzazione del sistema politico contro tali processi. Il sistema politico, non potendo essere in balia di conflitti relativamente ai quali trasmette la comunicazione dell’impossibilità radicale di una soluzione, né tanto meno potendo più imporre una decisione rifacendosi ad una sua autorità sovra-consensuale, si trova di fronte alla necessità di far «accettare» le proprie decisioni. Ma ciò inevitabilmente crea sia la delusione di chi non subisce benefici da quel sistema politico che ha contribuito a legittimare con il proprio voto; aumenta quindi quella quota di insoddisfatti e scontenti presente costantemente nei sistemi elettorali. Al contrario, il sistema politico deve assicurarsi che «i risentimenti mobilitati in conseguenza della decisione non possano essere istituzionalizzati» .
Il procedimento dell’elezione spinge il singolo alla sua individualizzazione simbolica, affettiva, autoriflessiva, inducendolo ad un’auto-rappresentazione politica del sé e ad «isolare volontariamente la propria posizione». Le elezioni politiche come risposta del sistema politico ai fattori di criticità ambientale e come presupposto di una ristrutturazione interna, con una ri-distribuzione delle cariche e dei ruoli, elevano la complessità delle strutture interne del sistema.
La funzione del procedimento delle elezioni politiche (diversamente da altre forme di reclutamento) non consiste, in base a quanto si è detto, nel perseguire l’obbiettivo, ufficialmente dichiarato, di scegliere per le cariche politiche i migliori rappresentanti del popolo. Le elezioni danno, in un momento critico, un contributo alla differenziazione del sistema politico, fornendo a quest’ultimo un’elevata complessità. In altre parole il sistema politico riconoscendo nel suo ambiente una complessità a cui non riesce più a dare risposta, cerca una soluzione di ristrutturazione interna tramite il procedimento elettorale. Ci troviamo di fronte ad un’indeterminatezza strutturale e soprattutto ad una certa imprevedibilità delle situazioni decisionali che fa da stimolo alla costruzione e all’eliminazione di alternative non funzionali al sistema.
Il sistema politico si mette in questo modo in condizione di adeguarsi meglio alle numerose e mutevoli esigenze della società.

1.2.1 Proiezione sul sistema politico del processo di «differenziazione sociale»

Abbiamo già detto, e messo in evidenza, come il processo di lungo corso che riguarda le società umane è quello della differenziazione sistemica, e come lo sviluppo della differenziazione dei sistemi sociali rispetto al loro ambiente può avere luogo a diversi livelli di creazione del senso. «Esso può coinvolgere le persone nella loro identità concreta, assegnandole totalmente ad un unico sistema parziale; esso può riferirsi, più astrattamente, soltanto a determinati ruoli o persino soltanto a determinati scopi, norme o singoli valori […]. Lo sviluppo della differenziazione del sistema politico si realizza prevalentemente al livello dei ruoli» . Inoltre, alcune pagine dopo, Luhmann scrive: «non di rado lo sviluppo di una tale differenziazione viene caratterizzato come “separazione di ruoli”» . Quello che Luhmann sta mettendo in evidenza è un cambiamento della relazione tra “ruoli” e “struttura sociale” nella società moderna e contemporanea. Anche se molti guardano ciecamente a questa relazione con occhi cisposi (gridando allo scandalo per la presenza di una show-girl o di una modella in Parlamento). «Sapere se gli uomini politici o i funzionari dello Stato sono ricchi o sono poveri, sapere con quali famiglie si uniscono in matrimonio, quali divinità pregano, che ambienti frequentano, quali sono i loro vicini o amici, insieme a chi sono stati prigionieri di guerra e a chi dividono somme di denaro: tutto ciò non può più avere una rilevanza decisiva in termini strutturali, ma tutt’al più può assumere un valore tattico per la realizzazione di determinate “relazioni»”» . In ciò, per Luhmann, si consuma il divario ed il distacco rispetto alle società pre-moderne, le società classiche della politica e le loro categorie di pensiero e la loro strutturazione.
Il sistema politico deve essere in grado di tollerare questo tipo di relazioni come sottofondo personale attribuibile agli uomini politici. Deve essere possibile, inoltre, che le relazioni che gli uomini politici hanno come “persone”, come singoli, cambino nel momento in cui questi divengono anche portatori di ruoli. La doppia mobilità della “struttura sociale” e del “ruolo” è necessaria nelle società post-moderne e permette una stabilità dovuta all’elasticità della loro relazione ; ciò determina un’ innovazione sostanziale nel reclutamento. Si devono sviluppare criteri non più ascrittivi legati alla nascita o che facciano riferimento ad altri sistemi (al sistema delle credenze religiose, piuttosto che al sistema della pura forza militare, o al sistema della morale pubblica, etc.) ma bensì criteri interni al sistema politico stesso. Stiamo entrando nella piena modernità o tarda modernità con l’autonomizzazione della sfera politica dagli altri sistemi sociali, con il suo auto-regolarsi imponendosi criteri di performance e standard di gestione dei ruoli e dei loro successi. Idoneità e rendimento assumono allora nuovo statuto concettuale, proprio perché sono criteri che si rifanno al sistema stesso e a niente che sia al di fuori di esso. Non è il sistema della morale corrente a determinare i parametri del reclutamento politico, come magari avveniva nelle società classiche, nella polis greca, o nel modello romano. Paradossalmente, «le buone relazioni» o public relations, assumono sempre maggiore importanza, in quanto rientrano in quello che è un parametro di rendimento, mentre perdono valore criteri come lo status sociale. In tal senso l’esempio proposto da Luhmann è quello di un imbianchino, che oggi potremmo sostituire con una modella o una show-girl, tutte figure sociali che potrebbero legittimamente entrare nel sistema politico; mentre, al contrario, “ruoli” di elevato prestigio sociale che godono di grande rispetto e considerazione in una società dove il lavoro si è sempre più “intelletualizzato”, pensiamo ad esempio al ruolo di professore universitario o di direttore di giornale o di un mediatore culturale, non sono più considerati interessanti per il sistema politico, che li prende in considerazione solo allorquando essi producano rendimento politico. La logica della performance organizzativa diviene fondamentale anche per il sistema politico, essendo la prima legge dell’organizzazione sistemica. Ma anche la mobilità e la carriera interna dei membri, la selezione dei temi politici ed una regolamentazione delle pratiche interne e delle gerarchie sono, nella società attuale, dirette espressioni di un filtro che il sistema politico pone nei confronti della società: soglia di confine tra sistema ed ambiente di riferimento riconosciuto.

1.3. L’autonomia e l’auto-realizzazione del sistema politico

Ormai tutti parlano di sistema ed il connubio tra il sostantivo sistema e l’aggettivo politico, è entrato nel linguaggio corrente; c’è addirittura chi parla di sistema politico nella Grecia classica , come se il sistema politico in queste società fosse differenziato ed autonomo e la struttura della società attuale fosse pressappoco la stessa di allora. Diverso è parlare di sistema politico in una logica Sistema-Ambiente e della teoria dei sistemi. Questa prevede infatti una logica complessa dove interazione, contatto ed osmosi tra il sistema politico e quello che si percepisce come proprio ambiente è fondamentale. E qual è l’ambiente del sistema politico nelle società occidentali dove è in vigore il sistema democratico-elettorale? La risposta è semplice: gli elettori. Coloro che eleggono sono l’ambiente che il sistema sociale riconosce come proprio ambiente di riferimento. Non altri sistemi in modo diretto, né altri ambienti. Gli altri ambienti per lo più sono percepiti come mediatori.
Il sistema politico, si differenzia sia internamente, scegliendo autonomamente i propri criteri di reclutamento, come abbiamo visto sopra, sia per temi, distinguendo in maniera autonoma i temi ritenuti più o meno rilevanti tra quelli proposti dal sistema mediale. Esso deve rispondere alle costanti modifiche e stimolazioni che riceve dall’ambiente; mentre l’ambiente deve sempre presentare una differenziazione maggiore rispetto a quella del sistema politico che deve rispondere alla differenziazione della società perché essa modifichi il proprio ambiente di riferimento (non dimentichiamo mai che ogni sistema tende ad essere sempre conservatore rispetto all’ambiente).
«Per ogni frazione significativa dell’ambiente occorre figurarsi una serie di relazioni a diversi livelli di generalizzazione, le quali di volta in volta si differenziano, oltre a ciò, anche determinati limiti di tempo in base all’input e all’output» . L’elettore deve riconoscere i temi della politica come temi del proprio ambiente di riferimento. Solo allora questi temi rilevanti per l’elettore possono essere generalizzati dai media . In seguito, «il riconoscimento generale ed i suoi simboli di riferimento regolano e limitano ciò che è possibile al livello più concreto dei rapporti quotidiani», ed «i meccanismi di assorbimento delle proteste, come ad esempio la giurisdizione» svolgono per Luhmann la funzione di determinare «soglie che impediscono un passaggio di eventuali disturbi e delusioni dall’ambito più concreto a quello più astratto» . Nessuna azione può più auto-legittimarsi con la forza ma deve ricorrere a narrazioni astratte, a motivazioni indotte, a operazioni di selezione e semplificazione. Se in passato il sistema politico tendeva a produrre i propri membri tramite una professionalizzazione ideologica dei propri iscritti, la strategia del sistema politico in una società sempre più complessa al fine di gestire il rapporto con altri sistemi sociali è di inglobarne gli esponenti più significativi, che sono anche quelli che potrebbero contestarlo. Con il reclutamento di figure e personalità provenienti da altri sistemi: dal sotto-sistema sindacale al sotto-sistema mediale o dal sistema dei media, il sistema invece di riconoscere possibili oppositori li asservisce per inclusione. Quando personalità di altri sistemi, professori universitari, appartenenti al sistema educativo, o noti giornalisti vengono reclutati dai partiti e inglobati nella loro visibilità portano il loro contributo dando vita a sistemi di adattabilità del politico. Il sistema mediale ha creato negli elettori un bisogno costante di novità e cambiamento, di ricerca d’innovazione (anche se magari solo a livello di restyling di simboli o di nomi) e di speranza per il nuovo, da un lato, ma anche di nostalgia per ciò che è passato.
Cerchiamo ora di rappresentare e dare una visione d’insieme della realtà sociale sistemica. Abbiamo fatto qualche esempio anche di sotto-sistemi. Ma ovviamente potremmo farne di sotto-sistemi di sotto-sistemi. Il vero nodo è come il sistema politico possa gestire una società che moltiplica questi sistemi e sottosistemi, fino a creare intrecci e relazioni complesse. Inoltre, ogni sistema rivendica sempre maggiore autonomia.

Schema 1. Il sistema politico all’interno di un’analisi sistemica

1.3.1 Specificazione funzionale del sistema politico

Certamente l’autonomia, l’autoregolamentazione, la differenziazione come sistema all’interno di un più ampio processo di differenziazione della società e dei saperi ha dato al sistema politico una propria dimensione regolativa e relazionale, come partner di interazione sistemica. «Il sistema politico è allora in grado di trattare con tutti i sistemi singoli senza dover temere interferenze impreviste da parte di altri settori ambientali, e di bilanciare il tipo di combinazione tra questi diversi contributi» .
Il motore sociale della differenziazione sociale consente, moltiplicando i sistemi presenti nella società, e moltiplicando anche i suoi sottosistemi, una delimitazione per opposizione e negazione del sistema politico, dando a quest’ultimo, una sua specificazione funzionale all’interno del contesto dell’interazione tra i vari sistemi.
I vantaggi che il sistema capitalistico ha tratto dalla divisione del lavoro in termini di produttività possono essere applicati all’intera società, tutti i vantaggi tecnici di trattamento delle informazioni, di gestione delle fonti di legittimazione religiosa, disponibilità a rivestire un determinato ruolo, etc. sono assicurati dall’assegnare al sistema politico compiti unitari rispetto all’amministrazione dello Stato e del potere. La relazione tra i vari sistemi e sotto-sistemi sociali si rimodella pertanto rispetto al sistema politico, ma sempre rivendicandone una maggiore autonomia perché i sistemi sociali rivendicano sempre una maggiore autonomia nel seguire i propri criteri regolativi e di sopravvivenza. Ogni sistema sociale assolve specifiche funzioni, abbiamo cercato di metterne in evidenza alcune nello schema sottostante in cui abbiamo rappresentato alcuni dei principali sistemi sociali. Nello schema, possiamo vedere come in realtà il sotto-sistema elettorale si stia man mano autonomizzando dal suo sistema di riferimento, che è quello politico; andando a giocare un ruolo non solo funzionale rispetto a questo, ma anche rispetto all’intero ambito della società.

Schema 2. Prospettiva funzionale: analisi dei sistemi sociali per funzioni

Ambiente dei
sistemi sociali

FUNZIONE SISTEMICHE

1.3.2 Selettività e complessità interne del sistema politico

Il sistema religioso, quello economico, quello culturale, familiare, educativo, quello addetto alla ricerca della verità o scientifico, il sistema militare, ed i loro specifici codici (credere/non-credere, profitto/non-profitto, vero/falso, etc.) richiedono al sistema politico la propria autonomia e legittimità sistemica , senza però rivendicare in cambio un’interferenza nelle decisioni politico-amministrative. Il sistema politico è messo nelle condizioni di poter decidere e di produrre un effetto vincolante sugli altri sistemi, ma sempre senza che questo minacci l’autoconservazione degli altri sistemi sociali. In altre parole il sistema politico assolve alla funzione di produrre potere sociale ma questo potere deve essere sempre più limitato.
Ma che tipo di potere è quello così prodotto? Più volte ed in più testi Luhmann ne dà una definizione aperta che non risponde ad un ordine, ma a una negoziazione di un senso, di una condivisione, di una possibilità; egli scrive che il potere è «un mezzo di comunicazione che permette la trasmissione di prestazioni decisionali» . Una definizione questa che si differenzia da altre teorie del potere che lo considerano la causa specifica di azioni specifiche. Una comunicazione si realizza solo se si riesce a comprendere la selettività di un messaggio; se si riesce ad utilizzarla per la selezione di una propria condizione entro il sistema. Ciò implica una situazione di contingenza da parte di chi trasmette e da parte di chi riceve il messaggio e dunque implica anche determinate possibilità di non accogliere la proposta selettiva trasmessa per mezzo della comunicazione. Questa possibilità di rifiuto non può essere soppressa in quanto possibilità. Una replica comunicativa di segno negativo e la tematizzazione del rifiuto entro un sistema sociale costituiscono ciò che chiamiamo conflitto. Tutti i sistemi sociali sono potenzialmente dei conflitti; solo il grado di attualizzazione di questo potenziale conflittuale varia con il variare del grado di differenziazione del sistema e con l’evoluzione sociale».

1.3.3 Differenziazione interna secondo le funzioni

Se la sfida costante a cui il sistema politico è chiamato è quella di mantenere una complessità interna adeguata a quella del suo ambiente di riferimento, in modo da non farsi trovare impreparato di fronte alle sfide sociali, assume centralità la gestione e l’incremento di una sempre maggiore complessità interna e la capacità di selezione del sistema verso l’esterno.
Il sistema politico deve assorbire i conflitti, le aspirazioni e le aspettative dell’ambiente. La sua capacità di assorbire i conflitti sociali deve crescere al crescere della complessità, delle contraddizioni e delle differenze che si ampliano con l’evoluzione sociale sia a livello locale, che globale. Imprevedibilità, causalità, cambiamenti repentini di mercato e di scenario devono essere motivo di riappropriazione della politica. L’assorbimento dei conflitti significa portarli dall’esterno del sistema all’interno del Sistema Politico stesso, e quindi trasformarli in rappresentazioni interne ad esso; in tal modo essi divengono una lotta regolata e verbalizzata e, inoltre, mediatizzata ricorrendo alla ricorsività del sistema mediale che li ripresenta schematizzati e semplificati. Ora il procedimento del sistema politico consiste nello spostare il campo semantico da una problematizzazione informativa cognitivamente complessa ad un discorso sulla propria motivazione a risolvere tali problematiche. In altri termini, il sistema politico si dice disponibile ad occuparsi di ogni cosa, anche e soprattutto di sfere e sistemi che sono completamente autonomi rispetto ad esso, e su cui non ha nessun effettivo controllo, né tanto meno capacità di intervento. Ma, di fronte all’insicurezza generata da sempre nuovi temi e problematiche, il sistema politico si dichiara essere l’unico competente a lenire ansia e contraddizioni, riassorbendo lo stesso conflitto e contrasto ambientale dentro se stesso. Ciò significa, però, che le rivendicazioni contraddittorie devono poter essere incanalate secondo una logica di decisionalità. «Occorre innanzitutto garantire strutturalmente una reale incertezza relativa all’esito. Il potere deve essere quindi sospeso, perché altrimenti non è neppure possibile motivare la partecipazione. I soggetti coinvolti devono essere collocati in ruoli che esigono un’azione complementare, ad esempio il formulare domande e risposte, e devono essere tenuti a fornire di sé un’immagine vincolante sulla quale possa basarsi anche il rispettivo avversario. Soltanto in questo modo si crea un processo di comunicazione controversa, nel corso del quale si precisano i temi ed si eliminano determinate alternative fino a riuscire a prendere la decisione finale con un dispendio minimo di selettività e dunque con una ripercussione limitata a livello sociale» .
Il sistema politico deve lasciarsi così un margine di apertura e di sospensione.

1.4. Cos’è il potere per la teoria dei sistemi?

Una ridefinizione del potere si rende ora necessaria. Da una concezione del potere come sistema gerarchico e transitivo (io applico il mio potere su di te nel modo in cui ti vincolo alla mia scelta), con la teoria sistemica si passa ad un tipo di potere circolare e reciproco, di natura essenzialmente comunicativa, in cui si può scegliere di accettare o rifiutare la struttura di senso del comando. Un senso che in ogni caso s’impone o viene imposto. Riallacciare il potere alla selettività di ogni comunicazione sposta il concetto di potere politico. Il potere si configura, nell’ambito della teoria sistemica, come la possibilità di ridurre la complessità di scelta altrui selezionando un’alternativa per altri, attraverso una decisione che è propria del potere politico. Il potere politico diventa quindi essenzialmente la possibilità di offrire agli elettori una selezione tra possibilità, una semplificazione, una formula o una visione d’insieme convincente. Contro la teoria classica del potere che lo definisce per lo più come la capacità di indurre altri a compiere azioni che non sceglierebbero di loro spontanea volontà , il potere, in termini di teoria dei sistemi, va visto come una selezione dipendente da selezioni, quindi come un rafforzamento della capacità di selezione del potere politico. Il potere si ha ogniqualvolta che, da un insieme di possibilità, viene operata una selezione ultima, fondata su precedenti selezioni, giungendo così ad una decisione presa da alcuni ma che verrà fatta propria da altri.
«Il ritiro di partners importanti da un rapporto di cooperazione, i disturbi entro sistemi che funzionano tecnicamente, la perdita della qualità di membro in un’ organizzazione, la sconfessione di una versione riguardante la propria immagine dopo che questa è stata presentata, un sovraccarico interno di complessità, di incertezza o di responsabilità; tutte queste sono altri tipi di sanzioni che assumono oggi un’ importanza forse maggiore per i processi interni in atto nei settori della politica e dell’amministrazione». La possibilità conseguente di dispiegare il potere e distribuirlo all’interno della struttura sociale dipende non tanto dal modo in cui queste alternative da evitare possono essere combinate fra loro o contrapposte, ma piuttosto dalla possibilità che il potere diventi riflessivo, cioè applicabile a se stesso, tanto alla base quanto ai vertici. Soprattutto quando la complessità del sistema raggiunge le dimensioni delle attuali società capitalistiche economiche tecnologicamente avanzate ed innovative, i detentori del potere devono potersi inserire in strutture attendibili, stabili (per es. le costituzioni giuridiche entrano in questo tipo di bisogno sociale). Anche il sistema politico sente che da solo non potrebbe sfruttare appieno il proprio potenziale decisionale e reggerne l’eventuale errore di decisione e scelta. In tutti i sistemi politici pienamente sviluppati, pertanto, diverse istanze devono poter essere de-politicizzate, almeno quelle che possono mettere a serio rischio il sistema politico, per le quali gli elettori almeno devono poter chiedere ragione e spiegazione.

Capitolo 2
Gestione del rischio e autoreferenzialità del sistema politico

2.1. La difesa interna dal rischio: L’opportunismo dei valori

I meccanismi elettorali risolvono anche altre forme di rischio interne al sistema politico e fungono da struttura regolativa. Il problema di un sistema politico che diviene complesso in modo auto-poietico è che questa complessità deriva non dalla sua stessa evoluzione, ma è indotta dal riconfigurarsi dei vari sistemi tra di loro e dall’innovazione che viene da altri sistemi. In passato, i meccanismi attraverso i quali un corpo sociale poteva controllare o difendersi dal dittatore, dal tiranno, o dal Sovrano erano essenzialmente tre: ammonizione, educazione o uccisione. Il Leviatano era di per sé incontrollabile e rispondeva solo a se stesso. In un sistema politico democratico-elettorale e liberale, il discorso cambia. Al sovrano capriccioso-dispotico e all’arbitrarietà del suo potere, che secondo Hobbes era inevitabile e strutturale, si è cercato di trovare sostegno prima nel diritto, poi in istituzioni di controllo. Ma questi dispositivi sono fragili poiché l’assunto della positivizzazione del diritto è voluto e determinato dal potere politico stesso e quindi non può essere una forma di contrasto al sistema politico. In quest’opera di contrasto sembrano fallire anche tutte le rivendicazioni di diritti naturali o i diritti costituzionali. Ogni forma di garanzia parlamentare non ha retto ai totalitarismi europei del 900’. Qual è allora il rischio attuale e come si gestisce?
La teoria dei sistemi, assegnando un compito funzionale e specifico al sistema politico, si preoccupa della scarsità del suo potere; in tal modo, essa ribalta la teoria liberale che teme che il sistema politico abbia troppo potere e che lo Stato – che in pratica si identifica con il controllo politico – sia troppo forte o evidente nella dialettica politica. Infatti, dice Luhmann: «il sistema politico di una società altamente differenziata non può più essere inteso come un mezzo per raggiungere uno scopo, né può essere guidato da una rigida direzione esterna. Per riuscire ad assolvere la sua funzione, questo sistema ha subito una tale differenziazione ed è stato istituito in modo altamente autonomo e complesso, che gli è ormai impossibile fondare la propria stabilità su basi, riserve e valori stabili, ma deve invece conseguirla attraverso le possibilità offerte» . Si verifica un cambiamento paradigmatico nel modo di intendere la politica, ricorrendo in modo diretto al creare relazioni personali e ricorrendo a sistemi di carriera. I legami tra i membri politici si cristallizzano in identificazioni a sfondo emotivo di appartenenza o divergenza. Tale tendenza è presente nei sistemi sociali maturi in cui, attraverso apparati di dominio di carattere personale (fondati su logiche clientelari) si gestisce la complessità e l’insicurezza. Queste relazioni di carattere personale realizzano un’indispensabile semplificazione tattica del sistema. Alla necessità di riconoscere un nemico comune subentra l’accettazione di un’appartenenza di squadra. Acquistano quindi valore sistemico logiche relazionali-clientelari, legami di fedeltà che nascono da una logica opportunistica. «In ogni caso l’opportunismo finisce per profilarsi come fattore determinante della stabilità. Non è più possibile racchiudere i valori entro un sistema costituito da rigide proprietà gerarchiche. I valori attingono la loro validità e priorità da un confronto, attuato situazione per situazione, con il relativo stadio di realizzazione di altri valori» . Anzi l’opportunismo dei valori deve essere visto come nuovo collante del sistema. Questa forma di opportunismo dei valori, «si innesta nei sistemi pluripartitici rispetto ad un sistema di concorrenza politica che consente ad un sistema parziale di strumentalizzare determinati valori in vista di determinati successi (specie di successi elettorali» .

2.1.1 Relazioni personali, logiche di clan, appartenenze nel sistema politico e loro funzionalità alla decisionalità politica

La politica, anche e soprattutto nelle società della tarda modernità o post-moderne, ancor di più che nelle società moderne, si attua con l’aiuto determinante di apparati di dominio puramente personali; si fonda, perciò, su tipi di interazione arcaico-tribali di aiuto e favori reciproci, accordi d’interessi, e di mantenimento di un modello di interazioni dirette basato su relazioni personali, determinate sulla base non di una caratterizzazione ideologica o progettuale, ma ad un motivo di natura decisionale. Questo tipo di politica che certamente trova la sua legittimazione e collegamento al principio della partecipazione, può trovare proprio nelle pause del processo decisionale la sua forma di necessità e di giustificazione. Questo tipo di rapporto può essere utile a gestire quello che già si sa, sottraendo i membri all’analisi infinita dei processi di selezione e ricerca d’informazioni (pensiamo ad una commissione politica che scelga candidati) e a proteggere dai disturbi che potrebbero provenire da altri gruppi e potrebbero mettere in crisi la capacità decisionale. Se questo tipo di politica relazionale e amicale, crea nodi di soluzioni che operano grazie alla categoria di auto-selezione politica amico/nemico, paradossalmente, come mette in evidenza lo stesso Luhmann, «ciò che è democratico in esse è la loro illegittimità». Questi nodi, infatti non sono capaci di attuare trasformazioni di natura strutturale proprio perché questi sarebbero ricchi di conseguenze. In altre parole, qui il problema non è come fare perché la democrazia non si riduca «agli interessi di una cerchia di amici politici» anzi proprio l’immoralità di questa soluzione presenta «un importante vantaggio». «Le elezioni politiche offrono l’occasione per manifestare un dissenso senza mettere in pericolo la struttura, cioè per compiere un atto espressivo con l’effetto di ridurre la pressione esercitata sul sistema. Esse fanno pertanto parte dei meccanismi di assorbimento della protesta, e contribuiscono all’adempimento della medesima funzione dei procedimenti giudiziari» .

2.1.2 Tecniche e procedure di stabilizzazione della complessità: il clientelismo come sistema di gestione e controllo del sistema

Assistiamo pertanto ad una vera e propria restrutturazione, ad «una perdita di mezzi concreti di orientamento», una perdita che avrebbe dovuto comportare «una corrispondente insicurezza». Ciò che nell’interezza del sistema sociale gode di status sociale elevato non ne gode nel sistema politico. Ma cosa ha fatto si che ciò non sia avvenuto e non avvenga?

Il sistema del procedimento elettorale, deve pertanto muoversi in quella che potremmo definire la forchetta di possibilità che esso stesso deve produrre, nella sua dinamica democratica. Da un lato esso deve salvaguardare la propria complessità in modo tale da riuscire ad esprime conflitti (senza l’avvertire un conflitto tra due parti, o partiti o coalizioni non avrebbe motivo ad esservi gioco democratico); dall’altro deve lasciare il loro esito nell’incertezza per un certo periodo di tempo. Soltanto così proprio facendo leva su questa incertezza costitutiva dei problemi e dei temi della comunicazione politica, esso può andare a chiedere ai destinatari delle proprie decisione di cooperare, anzi può addirittura trovare e legittimare i motivi delle proprie decisioni, soprattutto quando queste comportano spesso sacrifici o limitano la libertà e l’indipendenza dei singoli (pagare più tasse, essere perquisiti, limitazioni delle libertà individuali, servizio di leva, etc.). «Un sistema politico costituito attraverso elezioni è in grado di procurarsi tante alternative da auto-legittimarsi nei propri procedimenti decisionali» . Paradossalmente, anche il fatto che le elezioni sono incerte, insicure, e possono comportare un livello d’ansia per conoscere chi vincerà e come adeguarsi ai cambiamenti che esse genereranno, serve alla mobilitazione ed al coinvolgimento elettorale . Il procedimento elettorale segna così, il passaggio da un reclutamento di tipo ascrittivo, dove soggetti che già svolgevano e avevano all’interno della società un determinato ruolo sociale, o erano a capo di un ceto o organizzazione (il sacerdote, o rappresentante del potere religioso, il capo incarico in una determinata linea tribale, il proprietario terriero, il capo di una corporazione, etc.) ad un reclutamento ispirato non più ai principi dell’attitudine al e della prestazione. I ruoli sociali allora non sono più vincolanti per l’elezione ma allo stesso tempo, in quanto si separa il ruolo sociale dall’individuo, con la conseguenza che i ruoli coperti da un individuo come ed in quanto individuo – credente, sposato, imprenditore, membro di una corporazione, etc. – sono non più riconducibili ad un singolo ruolo ma ad una costellazione individuale-causale di ruolo.
Il procedimento elettorale separa quindi il ruolo politico (che sempre di più diventa plurale e molteplice, configurandosi come un complesso fascio di aspettative a cui l’individuo è sottoposto dallo sguardo dell’Altro), dagli interessi tutti privatistici di carriera politica o professionale, di opportunismo e di interesse per i singoli. Cioè un uomo politico può legittimamente essere motivato sia da un ruolo privato e d’interesse personale, sia da un ruolo pubblico e d’interesse generale della società.
Ritornando invece al procedimento elettivo. Bisogna dire che se non vi fosse un’incertezza sul risultato del procedimento elettivo, non avremmo certo necessità di elezioni. Affinché questa incertezza non venga meno, facendo venir meno anche il ricorso all’istituto elettivo, sono necessarie condizioni strutturali di imprevedibilità. Queste tre variabili che assicurano l’improbabilità ontologica dell’elezioni ed in modo tale ne giustificano la loro presenza sono: 1) l’universalità dell’accesso (che la retorica politica-ideologica chiama “suffragio universale” 2) uguaglianza del peso di tutti i cittadini (il principio sempre giacobino e maturato durante la rivoluzione francese di “una testa, un voto”; principio che annulla de facto ogni differenza individuale e soggettiva dell’elettore) 3) segretezza del diritto di voto. Quelle che sono considerate conquiste storico-evolutive, democratiche-politiche all’interno di una cornice storico-sociale di lotte, e ammantate di una retorica delle umane sorti e progressive, assumono invece per Luhmann valore funzionale.
Nella realtà Luhmann, dice che ne gli uomini sono uguali, ne possono essere trattati allo stesso modo, «è lecito o doveroso ignorare tutte le differenze, eccetto quelle che in un contesto funzionalmente specifico possono essere giustificate in modo dotato di senso», in altri termini, le differenze che sono funzionali e permettono la logica della reversibilità e dell’irresponsabilità vincolante, vengono selezionate dal sistema politico, e qui nello specifico sanzionate e registrare dal sotto-sistema elettorale; quelle invece non rilevanti e che potrebbero inficiare con tale modello vengono respinte e non entrando a far parte nei procedimenti vengono ad essere trascritte come illegali; o comunque logiche su cui non si può più fare affidamento.

2.2. La retorica del potere politico come «buona comunicazione»

Se, in ultima istanza, la funzione del sistema politico è «produrre potere sociale» dobbiamo analizzare cosa per Luhmann è da intendersi come potere e di conseguenza, che tipo di definizione egli dà del concetto di potere . Possiamo delineare due definizioni di potere, la prima relativa alla funzione del potere, la possibilità di scegliere per altri un’alternativa tra le alternative possibili mediante una propria decisione, in altre parole la possibilità di ridurre per gli altri la complessità. Rimane però da definire come questa decisione arriva e viene poi, presa in considerazione dagli altri, cioè come venga comunicata. Il problema del potere non può più rispondere ad una logica di trasmissione verticale e monocausale – né il macchinismo burocratico-amministrativo può essere più inteso, weberianamente, come «il modo formalmente più razionale di esercizio del potere».
La categoria del potere passa da una dinamica transitiva, Potere del Sovrano (vs) Potere-del-Suddito, Potere-Dello-Stato(Vs)Potere-del-Cittadino, ad una dinamica diversa di natura differenziale e relazionale. «In una società complessa il potere cessa definitivamente di essere un fenomeno transitivo, per trasformarsi pienamente in un processo relazionale-funzionale» . Luhmann, riprendendo l’intuizione ed il modello parsoniano , suo modello e maestro, riprende il concetto di potere come funzione. Dire che il potere è funzionale non significa dire come sostengono alcuni che nelle società democratiche i centri di potere sono moltiplicati, per cui vi sono poteri politici al di fuori del sistema politico, ma bensì che anche in una società complessa non può non esserci una gestione chiara, forte ed unitaria del potere. L’elettorato ha la necessità di individuare con chiarezza chi è l’autorità-personalità che governa e con cui interloquire anche a livello simbolico. Il votare è anche un affidarsi, e nessun elettore potrebbe affidarsi ad una leadership debole.
In altre parole, possiamo considerare il potere la capacità di «comunicare decisioni». Non è, né un imporre decisioni, né un costringere ad accettare le proprie decisioni (come nel caso della sanzione) ma la particolare forma di potere messa in evidenza da Luhmann, paradossalmente è un potere simile a quello derivante da una buona comunicazione, una comunicazione che ha successo: è quella che non si esaurisce nel ricevente ma si trasmette all’agire e alle azioni che poi il destinatario compie . In altre parole, come il processo comunicativo che è processo comunicativo riflessivo per eccellenza, è un rapporto a due, così è un rapporto reciproco e di doppia contingenza il rapporto tra chi prende le decisioni e colui a cui si vogliono comunicare queste decisioni. A differenza di Foucault che vede un potere che si impone, e vede il sistema, qualsiasi sistema psichico, essere sempre in contrapposizione con un potere, per cui il potere è esterno ai sistemi, ed è sempre forma di sopruso, condanna, manipolazione, e a differenza di Habermas per cui il potere si colloca all’esterno dei sistemi, anzi possiamo dire, non tocca i sistemi stessi, per Luhmann non solo il potere è forma interna della comunicazione, è parte attiva della dialettica comunicativa, ma è strumento funzionale e necessario affinché vi sia tra i vari sistemi, sia a livello macrosociale, tra i diversi sistemi sociali, sia a livello microsociale, tra il sistema politico e l’elettore/individuo.
Rispetto alla teoria proceduralistica del potere lo stesso Luhmann, realizza però alcuni distinguo, e risolve alcune critiche. Soprattutto egli tende a dimostrare e a mettere in evidenza che mentre «sembra che una legittimazione tramite procedimento non consista nel vincolare interiormente l’interessato, ma nell’isolarlo come fonte di problemi rendendo l’ordinamento sociale indipendente dal suo consenso o dal suo rifiuto».

2.2.1 La retorica del potere come primo sintomo della sua auto-referenzialità

Proprio questa indifferenza, rispetto alle strutture motivazionali dell’individuo e al consenso del singolo, viene espressa con il concetto di validità di norme e valori. I procedimenti servono a realizzare in maniera indolore questa esigenza di validità della vita sociale. Piuttosto che assolvere al compito di ridurre complessità, con operazioni di semplificazioni di temi e processi, sembra che il ruolo delle elezioni politiche sia sempre più produrre una complessità indefinita, in quanto proprio perché indefinita è ricca di antinomie, di contraddizioni, di paradossi piuttosto che di conflitti. Viceversa i sistemi sociali, infatti, come quelli psichici, cioè gli elettori, mal sopportano una complessità che sfugge loro sia cognitivamente, sia a livello di possibilità di elaborare le informazioni sul sistema politico. Queste spesso sono trasmesse dai media in modo semplicistico, confuso, ricorrendo ad un linguaggio spettacolare, propagandistico, per spot, frasi, satire, etc. Gli elettori ed i sistemi della pubblica amministrazione, pensiamo sia ai dirigenti di enti pubblici e ancora di più a società a partecipazione pubblica che sono sottoposte allo spoil system, tendono normalmente all’eliminazione di ogni incertezza e di ricondurre su un piano della rappresentazione simbolica semplice tutto il dibattito politico. I simboli, come già dimostrato da Durkheim, Mead fino a Freud, hanno ormai definitivamente mostrato la loro capacità di essere saldi ancoraggi conoscitivi.

Due sono le riflessioni che Luhmann per tanto pone al centro della riflessione, il primo punto è un’affermazione che trova legittimità osservando sia le elezioni politiche e le loro dinamiche nelle società occidentali e multipartitiche, la seconda un problema teorico imprescindibile dalla trattazione in termini sistemici, il problema della complessità intrinseca dei fenomeni socio-politici.
1. «Le elezioni politiche e la legislazione sono procedimenti dotati di complessità assai elevata, e corrispondentemente di uno scarso grado di razionalità».
2. «Come può la complessità essere trattata politicamente e venir ricondotta ad un senso decidibile, pur continuando ad essere considerata come momento strutturale costante?»
La spersonalizzazione dell’elettore, il togliere responsabilità al suo voto, a non far si che il suo voto, in un processo di auto-rappresentazione, faccia si che egli si senta vincolato alla retorica politica che a fatto da narrazione legittimante per quella specifica decisione di voto. Certamente la segretezza e anche l’astensione, è uno degli istituti che può salvaguardare una pubblica incertezza sull’aver votato e sull’aver avuto responsabilità rispetto a chi si è votato e poi ha attuato la politica ora ritenuta deludente. Bisogna imputare la delusione: «la colpa della discrepanza fra realtà ed aspettative non viene addossata a colui che è stato deluso, ma a colui che agisce».
L’assorbimento delle delusioni richiede una pluralità di simboli e di processi di di-versione di attenzione dalle responsabilità. Il vero nemico di ogni sistema che mette il potere in condizione di mutare e mutare davanti agli elettori, è la possibilità di accertare responsabilità oggettive e personali di persone che occupano determinati ruoli. La ragione di tale processo è il dato inequivocabile che il corpo sociale non può sostenere un cambiamento di classe dirigente ad ogni elezione, che di solito è fissata ogni 4-5 anni, se non addirittura in un orizzonte temporale ancora più ristretto (caso questo molto comune nel sistema politico italiano ad esempio) e dovendo ricorrere alle stesse persone con pochi ricambi, sia perché i soggetti tendono naturalmente a costruire reti di potere e clientele, sia perché assumono con la gestione del potere politico un’esperienza ed una scaltrezza indispensabile sia per la vittoria elettorale sia come assicurazione di essere preparati alla sfida della gestione del potere stesso.
Deve essere pertanto possibile ripresentare gli stessi uomini politici assicurandosi allo stesso tempo che ad essi non sia associata la delusione di aspettative che essi stessi hanno creato nella precedente elezione. I mezzi di comunicazione devo pertanto incidere e manipolare l’attenzione degli elettori, e caratterizzarsi come mezzi di dimenticanza. La memoria sociale deve essere manipolata e gestita in modo tale da permettere la riproposizione degli stessi personaggi politici ma con diversità di appeal e cariche di novità.

2.2.2 Il sistema elettorale da sotto-sistema funzionale del sistema politico a vero e proprio sistema sociale autonomo e differenziato?

Poiché soltanto le vittorie elettorali conducono legittimamente al potere, e le sconfitte nelle elezioni si pagano in termini di potere, i partiti devono affrontare i conflitti sociali insoluti per i quali urge una decisione e devono cercare, se non durante, almeno prima o dopo le elezioni, una via per conciliare esigenze tra loro divergenti, per soddisfarle una dopo l’altra, per trasformarle e per renderle politicamente irrilevanti – sia mediante processi di selezione e di compensazioni interni al partito, sia mediante trattative interne alle coalizioni interpartitiche.
«Per una simile operazione sui conflitti l’incertezza prodotta attraverso il procedimento elettorale è un elemento di impulso essenziale ed indispensabile» .
Scopo del sistema politico nei regimi democratici non è il certo mantenimento di una situazione operativa stabile, per cui, durante il mandato e per i termini previsto dal mandato la politica agisca e decida, ma piuttosto l’aumento del numero dei votanti, «traguardo supremo» e «criterio decisionale ultimo» . E proprio questo scopo questo permette ai problemi politici di essere elaborati in modo tattico-relazionale, trasformandosi solo successivamente in decisioni.

2.2.3 La nuova strategia della retorica politica: destabilizzare i temi della politica, rendere le domande ed i problemi sociali «elastici»

Già i sofisti greci conoscevano lo stretto legame tra filosofia e retorica, legame fisiologico e naturale. La retorica politica però ha sempre cercato di proporre almeno a livello retorico e di linguaggio, risposte chiare e forti ad i problemi sociali che si trovava di volta in volta ad affrontare; magari assumendo un punto di vista opportunistico e di comodo e per ciò stesso arbitrario, ma nonostante ciò, cercando di mostrare nelle argomentazioni e nell’esposizione dei problemi e delle loro soluzioni, la sicurezza che doveva poi ispirare la fiducia degli elettori, piuttosto che la complessità di procedure, scelte, decisioni. Nelle società complesse della tarda modernità, invece al contrario, emerge una nuova strategia retorica, totalmente opposta alla prima che voleva convincere gli elettori. La nuova strategia della retorica politica in età contemporanea è trattare i problemi di qualsiasi natura e forma come se essi fossero perennemente in sospesi, dando a questi una certa elasticità. I problemi sono elastici, e quindi elastici sono anche le strutture politico-sociali che sono chiamati a risolverli. Quando la politica ha paura di prendere decisioni sbagliate su certe questioni, chiama questa sua stessa incapacità di decidere in modo forte e chiaro: “problema difficile”, sposta questo suo problema di assumere responsabilità, sulla questione in se. Non è più il problema della politica di prendere scelte e operare decisioni, ma è la cosa in se che diventa problematica, e si sottrae alla responsabilità del potere politico di decidere su di essa. La cosa su cui la politica è chiamata a decidere (dalla costruzione di una strada o ad un nuovo settore da regolamentare) diviene ipso facto problematica. Essa si mantiene in sospesa ed elastica in un processo indefinito e reversibile. Se la materia su cui si è chiamati ad agire politicamente è stata problematizzata , essa può finalmente essere sottoposta all’azione politica senza che si possa poi ricondurre a questo o quell’altro soggetto coinvolto nella definizione di soluzioni e strategie, una chiara responsabilità. Ambiti sociali, e gestione di procedure e regolamenti, vengono immersi nel sistema mediale, con l’aggiunta di “problema” (problema lavoro, problema rinnovo contratti di lavoro, problema rifiuti, problema droga, etc.) per cui nella percezione dell’elettore trovarne una soluzione una volta per tutte, per la politica viene percepito come difficile, se non impossibile. Ciò permette anche agli esponenti politici della minoranza di criticare quelli della maggioranza, esistendo sempre il margine per una critica a decisioni che vanno ad affrontare problematiche. Per cui in ultima analisi, la nuova modalità retorica del sistema politico, è non proporsi più con una forte caratterizzazione decisionale, presentando alternativa scelta e quella scartata, ma inglobare anche quella scartata come in parte scelta. La politica diviene sempre più politica di simboli e di rappresentazioni, in ultima analisi discorso retorico che si confronta con strategie discorsive adattabili a seconda degli orientamenti elettorali. Selezione e gestione delle informazioni su orientamenti, motivazioni, atteggiamenti degli elettori per adattarsi man mano ad essi, mostrano un sistema politico che insegue la complessità del sociale ed una società che non riesce nemmeno più a prevedere né ad indicare. La logica della performance che è la logica del sistema, si orienta più al successo elettorale che alla gestione dei sistemi pubblici. Non è semplice spettacolarizzazione, come sostengono molti, lo spettacolo non è necessariamente credibile, mentre i temi dell’agenda politica devono esserlo, e soprattutto devono essere sentiti come rilevanti nell’ambiente dell’elettore. La politica deve fare le selezioni dei temi della comunicazione e sondarli tramite sondaggi, per tarare questi temi all’orientamento di volta in volta prevalente nella società. Non bisogna dimenticare che le richieste e le volontà del corpo elettorale mutano con il mutare ed il risolversi di alcuni problemi sociali e con l’acuirsi della criticità di altri. I suoi leaders devono essere percepiti non come attori mutevoli nelle decisioni e nelle scelte, ma come autorevoli e capaci, e con una vision legati ai temi. La vision sostituisce l’ideologia. Lo scenario politico, al contrario di quanto affermano molti studiosi, non vede la fine delle grandi narrazioni, ma la loro sostituzione con altre e nuove narrazioni maggiormente corrispondenti alle logiche della società complessa. Alle grandi narrazioni ideologiche si sostituiscono quindi, altre narrazioni capace di raccontare con maggiore pregnanza la mutata condizione della società. L’elettore chiede decisionalità e capacità di gestione. E proprio quei soggetti politici che riescono ad imporre la propria retorica comunicativa sugli altri, sono poi quelli che conquistano il potere politico. E questa in ultima analisi, è l’unica forma di legittimazione possibile del sistema politico: il procedimento elettorale. L’elezione premia chi impone l’efficacia della propria retorica comunicativa, la quale ovviamente non può riferirsi alla realtà complessa dei dati e delle azioni che riguardano i vari sistemi sociali, su cui paradossalmente nemmeno il sistema politico ha reale possibilità di azione quanto di reale conoscenza . Abbiamo infatti, già visto come ogni sistema sociale non solo rivendica per sé sempre maggiore autonomia ma si oppone anche ad ogni altra regolamentazione che non sia una sua auto-regolamentazione. Chi riesce a selezionare temi convincenti che toccano emotivamente e s’impongono come tali ad una maggioranza di individui, riesce a creare fiducia nell’elettorato. Bisogna che il sistema politico renda credibile la propria interpretazione di dati e di fatti. Sempre di più il successo della performance politica è l’arte di organizzare i temi della comunicazione pubblica, di far diventare lettori, spettatori, consumatori mediali di comunicazione politica di un programma o di un patto (pensiamo al patto con gli Italiani del linguaggio Berlusconiano). Se l’apparato mediale fa da gran cassa del potere e da suo collante a livello generale ed astratto, rimane pur sempre un ruolo politico strutturale la macchina di opinion leaders e di relazioni personali che le strutture partitiche hanno con chi gestisce le relazioni sul territorio a livello locale e decentrato. Personaggi ed elementi che gestiscono voto e consenso tramite la loro attività professionale in ambito di altri sistemi sociali sono scelti per entrare nel sistema politico, portando la loro legittimazione sistemica (cioè maturata in altri sistemi – siano pure quello dello spettacolo o dell’intrattenimento) all’interno della politica. I processi di differenziazione funzionale si estendono allora, fino alla rivendicazione di autonomia da parte della amministrazioni locali, e dei sistemi amministrativi decentrati.

2.3. Il sistema politico come «mediatore emotivo sociale»

La rigida meccanica dell’assorbimento di aspettative deluse, si presenta in diversi modi, ma certamente il più importante e talmente regolato e atomizzato da assumere valore di istituzione sociale: è il procedimento elettorale. Il procedimento elettorale, opera una riduzione, una semplificazione al ruolo unico di elettore, di individui sociali la cui pluralità di ruoli è in costante aumento. Pertanto il ruolo di elettore è un ruolo artificiale, una costruzione fatta per selezione e riduzione da parte del meccanismo-sistema del procedimento. Le strutture degli interessi dei singoli ed il ruolo sociale ad esso facente riferimento sono plurimi, trasversali e complessi (contribuente che vuole pagare meno tasse, accusatore delle scelte della politica vigente, lavoratore precario, azionista, imprenditore autonomo, pensionato, ma anche lettore della stampa, spettatore, minatore o cattolico, interessato all’opera pubblica promessa, disinteressato etc.) o ruoli di natura individuale, padre di famiglia (omosessuale, donna, malato, etc.) o commistione tra ruoli legati agli interessi e ruoli legati all’ambito personale (il padre potrebbe avere interessi diversi dal figlio, etc.). La struttura dei ruoli entra a far parte del procedimento elettorale, la concreta individualità non è pertanto più «responsabile della mobilizzazione del sistema politico» , proprio perchè la possibilità di suddivisibilità dell’io necessità di una coerenza interna, la quale nelle società fortemente differenziate in ruoli e sotto-sistemi sociali, come quella attuale è molto limitata. «Stando così le cose – conclude Luhmann – il comportamento elettorale non può più essere argomento di seri conflitti nemmeno in altri contesti funzionali, e diviene in tal modo un’azione libera che come tale può essere meglio oggetto di un’influenza immanente della politica stessa» .
«Si inducono così gli interessati a rinunciare, consapevolmente o meno, ad alternative di comportamento, a realizzare quanto accade come riduzione di complessità, ed infine a prendere decisioni nelle nuove istituzioni della loro vita attivando meccanismi psichici di adattamento, rispetto alla cui scelta la società può restare del tutto indifferente» . Se prendiamo in considerazione al livello del sistema sociale, per quanto riguarda il nucleo centrale di quella che possiamo chiamare la categoria della decisionalità sociale, (che risponde alla domanda chi decide in questo sistema sociale?) pare del tutto evidente il passaggio da una differenziazione stratificata (di ceto) ad una differenziazione funzionale (chi svolge la funzione di). Quindi se la prima si muoveva nella modernità intorno alle categoria Sovranità/Suddito, della tradizione politica di Hobbes, Locke, dei contrattualisti, tipica di una situazione comunicativa alto/basso che corrisponde al sistema comunicativo Comando/Ubbidienza, siamo passati ad una situazione tridimensionale a livello di sottosistemi funzionali nella seconda modernità: Politica, Amministrazione e Pubblico (si legga al fine di questa analisi pubblico come se si indicassero gli elettori). Il sistema politico si è differenziato al suo interno in tre sottosistemi: il sottosistema degli elettori, quello della Pubblica Amministrazione e del Potere Politico in sé, il quale si è a sua volta differenziato, a secondo di circostanze storiche e di opportunità interne alla competizione tra gli stessi, nel sotto-sistema dei partiti politici. A sua volta poi il sottosistema dei partiti politici, si pone come sistema autonomo e auto-referenziale verso gli altri sotto-sistemi e trova la sua legittimazione solo tramite il sotto-sistema elettorale. A ciò si aggiunga il cambiamento di aspettative e di scopo del sistema politico che si è verificato con la modernità: cioè l’idea di benessere come scopo del sistema politico, invece che come nel medioevo, pax et justitita, è il preciso correlato dell’auto-referenza politica, e la sua possibilità di benessere, il suo correlato interno, come richiesta ultima degli elettori.

2.3.1. Corollario sul principio d’ inclusione politica o di estensione dei diritti politici

Come abbiamo visto, la natura auto-referenziale del sistema politico ha permesso una sua differenziazione in forma tridimensionale. Nella tarda-modernità, a differenza della società pre-moderna in cui la sfera politica era bidimensionale, è emerso un terzo sottosistema: la Pubblica Amministrazione, che pur essendo in relazione con il potere politico, né è autonomo . Questo processo è significativo di un nuovo orientamento che assume il sistema politico, per cui il sistema politico si orienta verso gli ambienti prodottisi al suo interno, vincolando l’Amministrazione che a sua volta vincola il Pubblico. In quello che è lo Stato di Benessere (termine con cui s’intende una maggiore capacità di benessere e risorse distribuite ai cittadini, e non solo lo Stato Sociale di tradizione anglosassone); vi è necessità di un’amministrazione pubblica, estesa, ampia, autonoma, con forti responsabilità, ma non nel senso weberiano di una burocratizzazione razionalizzante dei processi sociali ma come attuante le istanze che giungono dal sistema politico (intendendo in questo caso sia il potere esecutivo che legislativo insieme). Una Pubblica Amministrazione che serve la comunità e quindi pubblico servizio (Stato Sociale) ma offre anche garanzie di impiego e di salario, di produzione di reddito individuale, che può accrescere il benessere al livello di distribuzione di ricchezza ai singoli a condizioni contrattuali e di stipendio ben al di là dei valori di mercato (Stato di Benessere). La pubblica amministrazione si presenta per tanto come regolatore verso l’alto sia dei salari che della dinamica inerente la domanda ed offerta di lavoro. Questa nuova aspettativa legata alla Pubblica Amministrazione, fa si che divenga sempre meno centrale la categoria del «riconoscimento» dei diritti o delle soggettività, mentre assume un ruolo centrale la categoria non politica ma sistemica dell’efficienza. Uno Stato efficiente, significa una Pubblica Amministrazione efficiente. La letteratura di teoria politica, però sembra scarsamente attenta a questa dinamica prepotente ed essenziale nella teoria della politica e dello Stato contemporaneo; la presenza dell’Amministrazione fissa in modo referenziale diretto, le premesse politiche derivante dal sistema politico, le quali assumono carattere prioritario rispetto a resistenze del pubblico e della cittadinanza. L’Amministrazione quindi si orienta in primo luogo e non può non orientarsi che sulle direttive politiche, in altre parole è vincolata e subisce una limitazione nella sua azione, e impone la sua decisione al pubblico . Ancora una volta possiamo vedere come sia ridotta l’influenza dei cittadini. L’inclusione, il principio che determina la partecipazione politica, che è allo stesso tempo tentativo d’inclusione delle differenze di interessi, valori e prospettive della politica contemporanea, più che un processo è un principio aperto, in quanto stabilisce che tutti godono di attenzione politica, ma allo stesso tempo non definisce come, se non che nel procedimento elettorale. Però, nel momento in cui l’autodeterminazione del proprio interesse è lasciata al singolo, l’attribuzione d’importanza, la stabilizzazione dei temi, la tematizzazione dell’interesse diventa un affare che non può che essere regolato nel sistema politico. Producendo e riproducendo da sé gli elementi da cui è sostituito, la politica si presenta come sistema autoreferenziale . Ma di cosa si costituisce la politica? Qual è l’elemento essenziale di costituzione del sistema politico? Per Luhmann, la risposta è unica, è la decisione: «Ogni decisione fa riferimento ad altre decisioni dello stesso sistema, altrimenti non potrebbe essere una decisione, e le singole decisioni possono esperire il proprio senso solo in tale riferimento interno, come contributo al proseguimento o all’impedimento di altre decisioni, come anello di una catena, come dipendente, nelle sue conseguenze da decisioni collegate, o anche da tutti questi motivi contemporaneamente: come decisione di non decidere perché le premesse e le possibilità di collegamento non sono sufficientemente garantite. Un tale sistema quindi rende possibile gli elementi stessi di cui è costituito. Non fa riferimento al proprio ambiente, ma si autocostituisce in se stesso. Può perciò essere costituito da elementi che non sono affatto presenti nel suo ambiente (o solo all’interno di altri sistemi autoreferenziali) – ad esempio da azioni e decisioni che non potrebbero affatto esistere come individualità singole» .