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Immagini di Giustizia. Teoria, modelli, rappresentazioni. Origine n. 16/2014

La Dea bendata diventa Cyborg.
Rappresentazioni e mitopoiesi della Giustizia
nell’immaginario post-moderno

di Michele Infante*

Il cyborg rappresenta la fusione, la combinazione o la relazione parassitaria tra la sfera biologica e quella culturale, tra i prodotti dell’evoluzione e quelli della fabbrica

La natura polisemica del corpo si rifiuta di volta in volta di offrirsi all’economia politica esclusivamente come forza-lavoro, all’economia libidica esclusivamente come fonte di piacere, all’economia medica come organismo da sanare, all’economia religiosa come carne da redimere, all’economia dei segni come supporto di significazioni

Simboli ed immagini rendono concrete ed egemonizzano concezioni morali, filosofiche, politiche, fino a divenire veri e propri dispositivi dell’immaginario. Essi si formano al fine di rendere sintetiche e più facilmente trasmissibili concezioni o teorizzazioni complesse. Simboli ed immagini, quindi, partecipano di una doppia natura: se da un lato sono prodotti da precisi soggetti storico-politici, dall’altro, una volta prodotti, scritti, rappresentati, essi vivono come oggetti culturali nel sociale, dove producono a loro volta una soggettivizzazione di quegli individui che da essi si lasciano affascinare e assoggettare.
Essi sono non solo metafore immaginifiche ma anche concreti modelli a cui far riferimento.
Il discorso politico ha continuamente prodotto miti e simboli.
Dai Miti della tradizione greca e romana, attraverso i bestiari medioevali popolati da animali diversamente allegorici e significativi, fino alle figure della tradizione moderna: dalla «colomba ed il serpente» di Torquato Aceto, alla «pecora con denti di lupo» di Macchiavelli, passando per il Leviatano di Hobbes, fino alla figura-simbolo del Panopticon di Bentham, epoche storiche, età dell’uomo, producono il loro modello-simbolo, cioè l’immagine che racchiude tutto un universo storico-antropologico-giuridico a cui far riferimento.
In questo lavoro, ci interrogheremo sulla possibilità dell’esistenza di una figura simbolica che abbia una dimensione centrale nell’immaginario della nostra epoca e che, anche se non prodotta esplicitamente dal discorso politico, in realtà incarna meglio di altre una metafora-modello della sensibilità politica contemporanea.
Qual’è l’immagine simbolica e mitica, complessa e popolare, che è propria ed originaria della nostra epoca?
La risposta che ci proponiamo di argomentare in questo lavoro è che forse questa figura-simbolo, quest’immagine che innerva la tarda modernità e porta i segni di un cambiamento non solo sociale, ma anche filosofico-politico è: il Cyborg. Il Cyborg, quindi, come Weltanschauung della contemporaneità, come sistema di pensiero che un’opera d’arte, o una qualsiasi forma d’espressione, condivide con le scienze e le filosofie del proprio tempo. Il cyborg inteso come rappresentazione di un soggetto ibrido, in parte umano e in parte macchinino, in parte biologico e in parte tecnico, dotato di forza e capacità non umane. Il cyborg come il manifestarsi sulla scena dell’immaginario sociale di una figura che è l’umano ed il non-umano allo stesso tempo, o ancora come un qualcosa che trascende l’umano nella direzione del macchinino. Il cyborg, infatti, è sia qualcosa che si proietta verso l’utopia di un uomo innervato dalla tecnologia, sia qualcosa che non ha sesso, non ha differenza di genere. Il cyborg è la figura simbolo della riflessione filosofica biopolitica .
Abbiamo conseguentemente poi rintracciato e analizzato le rappresentazioni maggiormente significative del cyborg o delle figure ad esso simili, nella letteratura di fantascienza e nel cinema della seconda metà del XX secolo, a partire dagli anni Sessanta. Infatti, se l’icona cult ed in un certo senso anticipatrice del cyborg la troviamo già in Metropolis (1927) di Fritz Lang, il fenomeno cyborg nel cinema esplode, in tutta la sua capacità di creare immaginari popolari e di successo, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del Novecento, con film come Guerre Stellari (1977), Alien (1979), Blade Runner (1982) e Terminator (1984), fino poi all’intreccio di cyborg e realtà virtuale che prosegue con Matrix (1999) Tomb Raider (2001), Transformers (2007), Avatar (2009) solo per citarne alcuni. Alcuni di questi film diventano delle vere e proprie saghe dell’immaginario, pensiamo a Terminator e Guerre Stellari, dimostrando come l’immaginario cyborg rispetto al tradizionale immaginario letterario, che presentava storie e personaggi difficilmente ripetibili e solitamene conclusi in quell’unica opera autoriale, è invece un immaginario dinamico, capace di divenire seriale, di far affezionare i propri lettori, fidelizzarli, ma soprattutto capace di presentarsi sempre come nuovo ed innovarsi.
Da un lato il meccanismo narrativo della serialità, dall’altro la possibilità di ritrovare gli stessi personaggi o in altri media] (come i videogame di Tomb Raider) o in una collezione di giocattoli per bambini (come nel caso di Transformer).
Gli immaginari prodotti da questi film sono universali (si tratta, infatti, di film popolari a New York come a Pechino) e si muovono in modo multimediale tra film, videogame, dvd, Internet, e riescono ad essere popolari anche in culture e regimi lontani dal luogo di produzione degli stessi, quella Hollywood che da un lato rappresenta l’America, ma per certi aspetti anche l’immaginario globale.
Con gli immaginari cyborg ci troviamo per la prima volta dinanzi a personaggi e figure, ambientazioni e scene, che spaziano dal reale all’immaginifico, e che non sono più semplicemente strutturati narrativamente intorno alla figura dell’eroe solitario o a quella del giustiziere, come unico soggetto capace di portare ordine sociale là dove esso è minacciato; al contrario, ci troviamo di fronte a narrazioni che mettono in crisi ed in dubbio i presupposti stessi della realtà sociale. La fantascienza funziona in un certo senso da cassa di risonanza per le paure collettive e le ansie totalitarie (pensiamo a 1984 di Orwell, scritto nel 1948) o sociali (epidemia da virus, esplosioni nucleari, alieni provenienti da altri pianeti, la rivolta dei computer contro l’uomo, etc.) degli uomini e delle donne che si trovano a vivere le trasformazioni biologiche e tecnologiche del XXI secolo. In un certo senso la fantascienza che sembra parlare di un altro mondo ed un altro tempo, lontano e fantasioso, ci dice invece molto della realtà cocreta e psicologica dei soggetti che la producono e la leggono. Pertanto, all’interno di questo scenario di maniccie, paure, invasioni, rivolte delle machine, il cyborg assume un ruolo centrale, epico e narrativo, per cui è chiamato a rinnovare il legame della comunità di fronte al pericolo e all’alterità.
“Cyborg” deriva dal greco kybernan che significa pilotare. E’ lo scienziato americano Norbert Wiener a parlare per primo di cybernetics, per indicare la scienza delle macchine capaci di autoregolarsi. L’obiettivo della cibernetica è studiare l’interazione tra umani e macchine tramite il meccanismo del feedback. Con il termine cyberspace viene invece designato il luogo dove avviene l’incontro e l’ibridazione tra tecnica e comportamenti umani .
La giustizia portata dal cyborg è il recupero, in un momento di forte crisi, della teologia politica, del legame politico con il mistero, la trascendenza e, in altre parole, il religioso; esso rappresenta, cioè, il recupero della forte legittimazione trascendentale del politico. Gli anni Ottanta hanno prodotto «uno spostamento d’asse dalla società di massa e dai suoi media a un orizzonte socio-antropologico basato su nuove tecnologie che rendono individuali i processi della comunicazione, innescando trasformazioni che ricadono sulle forme dell’immaginario» .
Il cyborg può essere preso ad emblema di questa trasformazione; [come] figura germinale in grado di elaborare e registrare gli elementi di trasformazione sociale, diviene, sia nella sua radice terminologica sia nella sua valenza politica, un generatore di senso di genere. Come scrive Donna Haraway, il cyborg, «lo si può paragonare a un altro neologismo: bionics, che è composto da biology ed electronics e significa organismo a protesi elettronica. In ambo i casi, si nota una maggiore autonomia della tecnologia nei confronti dell’elemento umano» .
Il terreno dove viene elaborato concettualmente il concetto di cyborg è la fantascienza. Essa è il genere letterario originario e caratteristico della seconda metà del XX secolo, non solo poiché presenta il futuro e lo immagina in tutte le sue componenti di innovazione sociale e di strutture di relazioni tra soggetti, scienza e tecnologia, ma anche perché rappresenta, per i teorici del cyberfemminismo, una potenziale «amalgama iconoclasta di scienza e narrativa»; solleva il problema del ruolo dell’immaginazione nelle rivoluzioni scientifiche, su come la finzione (mythos) e la scienza (logos) possano essere ripensati su nuove basi, in modo da formare una nuova unità. Il Cyborg, come unico essere capace di contrastare le forze avverse e vincere ansie e paure sociali, porta giustizia là dove l’ordine sociale è minacciato.
Il potere gli viene attribuito non per delega politica, ma per intrinseca natura, in quanto la sua forza è superiore a quella di un uomo comune (pensiamo al personaggio di Rachel, la replicante donna nel film Blade Runner del 1982). Gli essere umani difronte alla forza del cybog sembrano porsi in una naturale condizione di inferiorià o di impotenza (non a caso nell’immaginario cyborg si conia la parola «gli umani» contrapposti ai cyborg, ai replicanti, agli alieni, alle diverse forme che assume l’Altro).
Il Cyborg, quindi, risulta essere una figura-modello di quella riflessione sulle forme contemporanee di governo del corpo da parte del potere politico, sia come una traccia di riflessione bio-politica (che prende avvio dal lavoro di Michel Foucault), sia come figura di un immaginario che attribuisce per la prima volta anche alla donna il ruolo di protagonista nell’uso della forza. Quella che è sempre stata la debolezza fisica della donna, meno forte geneticamente dell’uomo, finalmente viene rovesciata ed riequilibrata; la donna-cyborg, tramite la tecnologia innestata nel proprio corpo, può finalmente combattere alla pari con le figure maschili, e divenire vero eroe di avventure e saghe legate al combattimento e alla forza.

Vorrei sostenere il cyborg come finzione cartografica della nostra realtà sociale e corporea, e come risorsa immaginativa ispiratrice di accoppiamenti assai fecondi. La biopolitica di Michel Foucault non è che una fiacca premonizione di quel campo aperto che è la politica cyborg.

Il cyborg dunque rappresenta un salto sociale e tecnologico e pone problemi di ordine ontologico, epistemologico e politico. Esso, inoltre, è chiamato a svolgere all’interno dell’immaginario contemporaneo e post-moderno un lavoro di codificazione e simbolizzazione della morte e della trascendenza in chiave laica e post-illuminista.
Per tutti questi motivi, svolgere uno studio sulla produzione di immaginario legata alla figura del cyborg vuol dire cercare di capire quanto e come la società abbia metabolizzato e cercato possibili interpretazioni ai cambiamenti che hanno investito l’organizzazione stessa della vita associata; vuol dire cercare di riconoscere percorsi di senso in grado di fornire nuovi elementi, nuovi mutamenti nei paradigmi scientifici, tecnologici e sociali.
Altro presupposto del nostro lavoro è quello per cui il femminismo è un movimento teorico e sociale, di liberazione e miglioramento delle condizioni civili ed economiche del soggetto politico “donna”, come il socialismo ed il comunismo lo è stato per il soggetto politico “operaio” o “proletario” ed il liberalismo per le forze emergenti del soggetto “borghese”. Non a caso, Donna Haraway, sintetizzerà la natura politica e tecnologica del movimento cyberfemminista definendolo «il movimento di pensiero, ma anche di attività politica, che si situa nelle nuove frontiere del cyberspazio e cerca di utilizzare le nuove tecnologie a favore delle donne». Il cyborg è una figura seminale per comprendere i complessi processi che caratterizzano la nostra contemporaneità ed il pensarsi in termini di identità di genere. È sia seme, nel senso di segno, sia significante che informa, sia aristotelicamente forma e sostanza delle metafore del potere o della sua eversione. Pertanto, ci sembra interessante una rilettura dell’immaginario contemporaneo alla ricerca delle tracce che conducono ad un’analisi dei luoghi, soprattutto filmici e letterari, dove esso è rappresentato e messo in scena; perché il cyborg, in quanto “mostro-tecnologico” sui generis, ci permette sia di leggere la sua stessa relazione tra con le altre figurazioni mostruose che da sempre hanno caratterizzato l’immaginario della nostra specie, sia di intuire le nuove forme politiche e di identità di genere che caratterizzano la società contemporanea. Giungeremo, infine, a mettere in luce come la carica d’innovazione e di eccesso che esso incarna ha essenzialmente un valore comunitario, nel segno dell’epidemia, del contagio, dell’invasione a cui, in un modo o in un altro, la presenza in scena del cyborg rimanda.
La conclusione della nostra ricerca sarà quindi mettere in evidenza come l’icona del cyborg generi complessi e pluristratificati valori di genere, ristrutturi gli stereotipi legati al femminile, e si muova all’interno dell’immaginario contemporaneo in modo entropico e pluridirezionale, affascinando e attraendo a sé le soggettività contemporanee . Infine, vedremo come, con la Rete, Internet e lo sviluppo di interfaccia grafiche, si possano generare veri e propri personaggi virtuali, e cioè partendo dal cyborg e dalla sua virtualizzazione nell’ avatar, si possa pensare a forme di genere off-line diverse da quelle on-line, e quindi la reale possibilità di un corpo virtuale senza genere e senza età. Ma proprio le immagini di Giustizia nell’immaginario Occidentale degli anni Ottanta, ripropongono qualcosa di vecchio e allo stesso tempo nuovo, la comunità minacciata invoca a giustiziere il Cyborg. La spada, la bilancia, la benda diventano la pistola laser, il casco, la visiera. Irrompe sulle scene di un immaginario ancora dominato in politica dalla guerra fredda: il cyborg, il Terminator, con i suoi occhiali-elettronici, i suoi sensi iperestesi ed ibridati con la tecnologia, l’immagine ultima di un’ideale di giustizia semplificato di una giustizia da comunicazione di massa. Il cyborg nelle inquadrature in soggettiva del personaggio vede la realtà esterna secondo campi di visione, come sul display di una telecamera amatoriale. La capacità di visione del cyborg, pensiamo al suo antesiniano super-man, i super-poteri, che sono spesso potere del vedere. Su tutto si estende l’orizzonte del vedere e dello sguardo, ecco il livello duplice ed ambiguo della benda. Ciò che si vede, ciò che non si vede. Benda per non vedere se si è di fronte al ricco o al povero, al potente o all’umile, per amministrare la giustizia con equità, senza farsi ingannare dai soldi e dal potere. L’amministrazione della giustizia avviene sempre nell’orizzonte del vedere. Un vedere che è come il vedere indiziario di Gombrowicz , una ricostruzione basati su indizi assenti. Un ricostruzione dello sguardo. Ci troviamo oltre alla caratteristica classica dell’eroe salvatore, dell’eroe che giunge a riportare in equilibrio all’interno della comunità minacciata. Da qualche parte degli innocenti senza volto stanno morendo, l’altro-l’alineo-il nemico, sta attaccando, il Cyborg interviene. Mente ferma sul trono, l’immagine della giustizia, si muove per le metropoli il Cyborg senza sesso. Dov’è la femminilità della giustizia? Il suo genere o il suo generare. L’immaginario Cyborg trova la sua natura politica profonda in un momento di forte radicamento di concezioni ideologiche individualistiche come nella società Americana del Reganismo o dell’ideologia di un democraticismo iper-individualista. C’è qualcosa che la Giustizia non ha detto. Questo qualcosa è sotto formula del desiderio. Solo Eros, che è l’amore, è bendato come la giustizia, in una cecità che è mistero ed incomprensione. Una giustizia che sfugge alla luminosa ragione settecentesca, ad un’ideale di trasparenza, chiarezza, sui procedimenti e sui dibattimenti. L’evidenza delle prove, la loro imprescindibile evidenza, l’offesa agli ultimi, una ragnatela in cui rimangono impigliati i piccoli ma che viene distrutta dai grandi. Fotografare la scena del delitto, far diventare oggetti e cose insignificanti, un normale interno domestico o una strada o un porto, luoghi carichi di indizi, di evidenze di tracce e poi ricostruire in modo arbitrario la scena del delitto, mandante, movente, fino all’agente.

Scritto da:

Origine - genesi sociale degli immaginari mediali - Direttore MICHELE INFANTE