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Delirio a Due- anticommedia di Eugène Ionesco


DELIRIO A DUE
anticommedia di Eugène Ionesco

regia e interpretazione, scene e costumi
 di Elena Bucci e Marco Sgrosso

 


Teatro Astra – Torino

[9-20 aprile 2013]
prima nazionale

La relazione di coppia è il luogo ideale per ogni esperimento di cortocircuitazione del linguaggio. Eppure la coppia, questa unità minima della socialità umana, è la sola possibile cellula di resistenza, di argine minimo, di trincea (sebbene semi-onirica e, appunto, delirante). Ma contro cosa?

Su un asse di discordia la rappresentazione compie la sua prova di destrezza.
C’è del metodo nella follia della scrittura ioneschiana, e più passa il tempo più diviene manifesta la tensione quasi mistica, etimologicamente mistica, dei suoi testi. Che nel passaggio attraverso le contraddizioni della verosimiglianza e dell’apparenza naturalistica, mirano in non altra direzione che quella che si affatica attorno all’arcano da cui è indotta ogni parola. Quel dicibile che coincide col possibile e in cui ogni recita, la vita stessa che è recita, trova in ogni istante il suo imbastimento, cioè la cifra costante di un irretimento che prelude l’afasia ma che pure è irrinunciabile.

Le frasi sono vuote e abitano se stesse. Con esse non si costruiscono che non-identità, assenze di personaggi, irrilevanze psicologiche. Eppure: il discorso ha un’origine e uno scopo. È il territorio della recriminazione, del rinfacciamento, della disillusione, dell’automenzogna.
Lei, lui, e la natura irredimibile della comunicazione umana, ancor di più se tra i generi (un tropo ioneschiano, dalla Lezione in poi). Si comincia, e il riconoscimento tra i due è subito mancato. Il prologo mostra quanto si sia l’un l’altro soltanto trasparenza e inafferrabilità. Somma di solitudini incoscienti, nella migliore delle ipotesi.
Dopodiché, inevitabile destino, i personaggi cominciano la loro battaglia verbale. Un massacro, di regola. Non ci si può difendere, quindi ci si difende, male, con l’attacco. Si sibila la propria rabbia. Il disinganno. La letterale insopportabilità che fa di ognuno la misura della propria insanabile solitudine. Siamo davanti a un finto dialogo: vengono in realtà recitati due monologhi, entrambi tangenti, e opposti, rispetto alla scena.
Ma basta questo? No, perché il livello dello scontro si eleva. La guerra è anche fuori dalla coppia, fuori dalla porta. Incombenza. Forse ripercussione. Ed è la balistica che detta il ritmo dell’azione. Le esplosioni sono il contrappunto delle parole e non vi è niente di più logico. Il terrore appare in breve come la sola consistenza. Pur sempre un orientamento. Minimo, servibile, per quella sola evenienza che è la difesa, la sopravvivenza, il rifugio, il rifiuto.

Dal lato della pars destruens la coppia si ritrova e si sottrae alla storia. A quella storia che si approssima come un asfissia col carico polveroso delle sue deflagrazioni. Per Ionesco non vi è altra guerra fuori dal cerimoniale anche violento delle parole. Tutto il resto è minaccia esterna, e conseguente istinto di sopravvivenza.

***

Nello spazio della Sala Prove dell’Astra di Torino, Elena Bucci e Marco Sgrosso (Le Belle Bandiere) allestiscono il testo battibeccando magnificamente sulla scena la misura della conflittualità cosmica in cui tutti siamo immersi.

Roberto Balzano

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